Pubblichiamo un interessante lavoro di ANDREA DI STEFANO e di ROBERTO CUDA sulle cosidette infrastrutture lombarde. Un vero e proprio elenco di inutili opere di cemento e asfalto che andranno (se non ridiscusse) a deturpare ulteriormente l'ambiente e a impoverire le casse pubbliche regionali. Agli autori, un grazie sentito per l'opera di informazione.
LE GRANDI (E PICCOLE) OPERE INUTILI IN LOMBARDIA.
Dossier a cura di Andrea Di Stefano e Roberto Cuda
Se
venissero realizzati tutti i faraonici progetti autostradali la
Lombardia sarebbe percorsa da 540 km di nuove arterie a pagamento. Una
colata di cemento e asfalto senza precedenti, che aumenterà del 93%
l’attuale dotazione autostradale, senza contare la viabilità secondaria.
Ben otto infrastrutture a pedaggio – Pedemontana, Tangenziale Est
esterna Milano (Teem), Bre.Be.Mi. (Brescia-Bergamo-Milano),
Cremona-Mantova, Broni Mortara, Tirreno Brennero, Valtrompia e
Varese-Como-Lecco – che caleranno come macigni in una regione già
fortemente infrastrutturata e cementificata, per un costo complessivo
stimato intorno ai 14 miliardi di euro. Poi ci sono le nuove
superstrade, che hanno un impatto pressoché identico.
Eppure in Lombardia le autostrade non mancano e sono all’altezza
delle aree più sviluppate dell’Europa (vd Tab sotto), mentre i treni
locali sono pochi e inefficienti, come dimostra l’odissea che ogni
giorno devono sopportare i pendolari. Nonostante questo si continua ad
investire nel trasporto su gomma in virtù del binomio
“autostrade-ipermercati”, abbandonato da tempo nei paesi europei più
sviluppati. Anche perché gli impegni internazionali – in primis
l’accordo di Kyoto – impongono politiche precise in tema di
sostenibilità, puntualmente disattese dal nostro paese. La Lombardia in
particolare è una delle regioni più inquinate del mondo e i numeri
parlano chiaro: 8.200 decessi all’anno nelle 13 principali città
italiane, di cui 7.000 solo nella pianura padana secondo il Centro
europeo ambiente e salute dell’Oms (dati dell’Agenzia europea per
l’ambiente, febbraio 2011), 50.000 morti in tutta Italia secondo il
Programma Clean Air for Europe della Commissione Europea (febbraio
2011), di cui quasi mille solo nella città di Milano.
L’impatto sull’agricoltura è pesantissimo, e rischia di aggravarsi in modo esponenziale con le nuove arterie. Dal 1999 al 2007 in Lombardia sono stati cancellati oltre 43 mila ettari di aree agricole, mentre ogni giorno vengono urbanizzati 117 mila metri quadrati di territorio.
Secondo le rilevazioni di Coldiretti, la Pedemontana si mangerà quasi 24 milioni di metri quadrati di territorio, altri 18 milioni e mezzo se li prenderanno Brebemi e relative tangenziali di raccordo e 8 milioni e mezzo la nuova Tangenziale est esterna di Milano. “Un fiume d’asfalto pari alla metà della lunghezza del Po, che tocca 214 comuni e ‘sperona’ centinaia di aziende agricole. Solo su Brebemi sono quasi 1.500 quelle danneggiate con terreni presi a morsi dai cantieri, cascine spianate e stalle assediate dall’asfalto”. (Comunicato Stampa Coldiretti Brescia, 13.10.2010).
Ma da qualche tempo la crisi ha ridotto sensibilmente i flussi di traffico (nell’ultimo anno calati in media del 10% su tutto il territorio nazionale) e peggiorato le condizioni di finanziamento, mettendo in ginocchio tutti i grandi progetti. Due delle tre arterie già cantierate – Pedemontana e Tangenziale Est Esterna Milano (Teem) – sono sull’orlo del fallimento e perfino le banche hanno chiuso i rubinetti. Su oltre 9 miliardi richiesti da Brebemi, Teem e Pedemontana ce ne sono poco più di due, per oltre le metà pubblici e i cantieri lavorano ormai sulla fiducia. La drammatica situazione economica infatti non ha impedito di continuare i lavori, mettendo a repentaglio le società di progetto, che se vorranno sopravvivere dovranno affidarsi a consistenti iniezioni di denaro pubblico. Soldi dei cittadini insomma, che aumenteranno il debito pubblico pesando sulle spalle delle generazioni successive. Sprechi colossali per opere di cui non è stata mai accertata l’utilità, visto che in Italia non si fanno analisi costi-benefici indipendenti. L’alternativa è porre un freno ad opere senza futuro e ripensare finalmente a un modello di sviluppo compatibile con le risorse e il territorio. Le autostrade rappresentano l’esempio più macroscopico dello spreco, ma non l’unico. La regione infatti è disseminata di infrastrutture di dubbia utilità o palesemente inutili, alcune vere e proprie cattedrali nel deserto, di cui riportiamo di seguito un ampio spaccato.
L’impatto sull’agricoltura è pesantissimo, e rischia di aggravarsi in modo esponenziale con le nuove arterie. Dal 1999 al 2007 in Lombardia sono stati cancellati oltre 43 mila ettari di aree agricole, mentre ogni giorno vengono urbanizzati 117 mila metri quadrati di territorio.
Secondo le rilevazioni di Coldiretti, la Pedemontana si mangerà quasi 24 milioni di metri quadrati di territorio, altri 18 milioni e mezzo se li prenderanno Brebemi e relative tangenziali di raccordo e 8 milioni e mezzo la nuova Tangenziale est esterna di Milano. “Un fiume d’asfalto pari alla metà della lunghezza del Po, che tocca 214 comuni e ‘sperona’ centinaia di aziende agricole. Solo su Brebemi sono quasi 1.500 quelle danneggiate con terreni presi a morsi dai cantieri, cascine spianate e stalle assediate dall’asfalto”. (Comunicato Stampa Coldiretti Brescia, 13.10.2010).
Ma da qualche tempo la crisi ha ridotto sensibilmente i flussi di traffico (nell’ultimo anno calati in media del 10% su tutto il territorio nazionale) e peggiorato le condizioni di finanziamento, mettendo in ginocchio tutti i grandi progetti. Due delle tre arterie già cantierate – Pedemontana e Tangenziale Est Esterna Milano (Teem) – sono sull’orlo del fallimento e perfino le banche hanno chiuso i rubinetti. Su oltre 9 miliardi richiesti da Brebemi, Teem e Pedemontana ce ne sono poco più di due, per oltre le metà pubblici e i cantieri lavorano ormai sulla fiducia. La drammatica situazione economica infatti non ha impedito di continuare i lavori, mettendo a repentaglio le società di progetto, che se vorranno sopravvivere dovranno affidarsi a consistenti iniezioni di denaro pubblico. Soldi dei cittadini insomma, che aumenteranno il debito pubblico pesando sulle spalle delle generazioni successive. Sprechi colossali per opere di cui non è stata mai accertata l’utilità, visto che in Italia non si fanno analisi costi-benefici indipendenti. L’alternativa è porre un freno ad opere senza futuro e ripensare finalmente a un modello di sviluppo compatibile con le risorse e il territorio. Le autostrade rappresentano l’esempio più macroscopico dello spreco, ma non l’unico. La regione infatti è disseminata di infrastrutture di dubbia utilità o palesemente inutili, alcune vere e proprie cattedrali nel deserto, di cui riportiamo di seguito un ampio spaccato.
Bre.Be.Mi (Brescia-Bergamo-Milano)
È l’unica autostrada che verosimilmente potrà essere terminata, sebbene a costi altissimi. 62 km di lunghezza tra Brescia, Bergamo e Milano, l’autostrada in realtà non toccherà nessuna delle tre città ma correrà in parallelo alla A4. Ed è proprio la competizione con l’A4 a mettere a rischio la sostenibilità dell’opera. La Brebemi infatti richiede un finanziamento di 2,42 miliardi di euro (compresi Iva e interessi, questi ultimi intorno ai 500 milioni), un costo netto intorno ai 1,6 miliardi (contro gli 800 milioni di partenza). Soldi che naturalmente dovranno rientrare dai pedaggi, secondo il modello del project financing. Questo significa che per andare in pareggio la società dovrà incassare almeno 10 milioni di euro al mese per 19 anni e 6 mesi, ossia la durata della concessione, cercando di sottrarre traffico all’A4 (Emanuele Scarci, Brebemi incassa 1,9 miliardi, Il Sole 24 Ore, 26.07.2011). Un compito arduo, visto che negli ultimi anni l’allargamento dell’A4 ha quasi azzerato gli imbottigliamenti. E poi il traffico è calato ovunque e le previsioni per i prossimi anni sono tutte al ribasso.
È l’unica autostrada che verosimilmente potrà essere terminata, sebbene a costi altissimi. 62 km di lunghezza tra Brescia, Bergamo e Milano, l’autostrada in realtà non toccherà nessuna delle tre città ma correrà in parallelo alla A4. Ed è proprio la competizione con l’A4 a mettere a rischio la sostenibilità dell’opera. La Brebemi infatti richiede un finanziamento di 2,42 miliardi di euro (compresi Iva e interessi, questi ultimi intorno ai 500 milioni), un costo netto intorno ai 1,6 miliardi (contro gli 800 milioni di partenza). Soldi che naturalmente dovranno rientrare dai pedaggi, secondo il modello del project financing. Questo significa che per andare in pareggio la società dovrà incassare almeno 10 milioni di euro al mese per 19 anni e 6 mesi, ossia la durata della concessione, cercando di sottrarre traffico all’A4 (Emanuele Scarci, Brebemi incassa 1,9 miliardi, Il Sole 24 Ore, 26.07.2011). Un compito arduo, visto che negli ultimi anni l’allargamento dell’A4 ha quasi azzerato gli imbottigliamenti. E poi il traffico è calato ovunque e le previsioni per i prossimi anni sono tutte al ribasso.
Anche per questo la nuova arteria non ha dato impulso all’economia
della zona, come spiega Pietro Tosca sul Corriere della Sera del 9
settembre 2012.
Più che grandi affari, al momento sono solo grandi delusioni. I
cantieri della Brebemi hanno superato a luglio il 50% e la data fissata
sul calendario per il taglio del nastro, dicembre 2013, non appare più
un traguardo lontano ma le promesse di sviluppo rimangono tutte sulla
carta. Il mercato immobiliare nei comuni attraversati dall’autostrada al
momento non è diverso da quello del resto della Provincia. Un lungo
inverno portato dalla crisi economica con prezzi in picchiata anche del
20%, tanti contatti ma clienti pochissimi e i piccoli imprenditori della
zona al palo. Così le scritte «affittasi» sui capannoni si moltiplicano
e le tante aree destinate a insediamenti produttivi producono solo
erbacce. Una situazione che va aggravandosi spostandosi da ovest a est
della Bassa.
A Treviglio in media è sfitto circa il 20% dei capannoni. Un dato appunto nella media. Anche perché la seconda città della provincia tra tutti i comuni bergamaschi della Brebemi è quella più attardata nel prepararsi ad accogliere l’autostrada. Un ritardo che in questo momento gioca a suo favore. Le due zone industriali, il Pip1 e il Pip2 sono tutte costruite e il mercato per quanto ridotto ai minimi termini per lavorare deve puntare sull’usato, riempire i vuoti che si creano. Un ritardo che però sarà presto colmato con la variante urbanistica della Mezzaluna, la fascia di terreno che corre tra la storica linea ferroviaria Milano-Venezia e il tracciato dell’autostrada a sud della città. Poco più a sud però una grande zona già pronta per le industrie c’è già, è l’ex Agip a Casirate. Negli anni ’80 qui l’Eni estrasse gas e petrolio. Ora l’area attende un nuovo futuro e la vocazione è industriale ma al momento non ci sono «pretendenti». Forse l’autostrada da sola non basta e si attende che diventi realtà anche l’interporto, l’infrastruttura che tra Treviglio e Caravaggio servirà a scambiare le merci tra gomma e rotaia. Un richiamo irresistibile per la logistica. Al momento ci ha creduto solo la multinazionale svizzera Kuehne Nagel che ha giocato d’anticipo prendendo sede a Brignano qualche anno fa. Ci crede però anche il Comune di Caravaggio che a luglio ha portato in approvazione un Pgt in cui la storica zona industriale di via Panizzardo viene raddoppiata.
Passando il Serio la situazione si fa critica le zone produttive di Isso, Sola e Antegnate sono in difficoltà. È vuoto un capannone su due. Ancora di più le aree che i Pgt hanno destinato al produttivo e rimangono campi incolti. Poco più a nord c’è il centro commerciale di Cortenuova «Le acciaierie». Sono stati i primi a credere alle sirene di Brebemi e ora stritolati dalla crisi e della concorrenza resistono come i pioneri asserragliati a Fort Alamo.
Sul confine dell’Oglio c’è chi sorride. Calcio ha pescato il jolly. Qui una grande impresa ha prenotato un’area enorme per trasformarla in un hub. La vicinanza al casello di Brebemi ha funzionato. A frenare le ruspe però ci pensa la burocrazia. Ci vorrà ancora un anno prima che arrivino i permessi per aprire i cantieri. (Pietro Tosca, La Brebemi in arrivo non trascina gli affari, Corriere della Sera 9 settembre 2012)
A Treviglio in media è sfitto circa il 20% dei capannoni. Un dato appunto nella media. Anche perché la seconda città della provincia tra tutti i comuni bergamaschi della Brebemi è quella più attardata nel prepararsi ad accogliere l’autostrada. Un ritardo che in questo momento gioca a suo favore. Le due zone industriali, il Pip1 e il Pip2 sono tutte costruite e il mercato per quanto ridotto ai minimi termini per lavorare deve puntare sull’usato, riempire i vuoti che si creano. Un ritardo che però sarà presto colmato con la variante urbanistica della Mezzaluna, la fascia di terreno che corre tra la storica linea ferroviaria Milano-Venezia e il tracciato dell’autostrada a sud della città. Poco più a sud però una grande zona già pronta per le industrie c’è già, è l’ex Agip a Casirate. Negli anni ’80 qui l’Eni estrasse gas e petrolio. Ora l’area attende un nuovo futuro e la vocazione è industriale ma al momento non ci sono «pretendenti». Forse l’autostrada da sola non basta e si attende che diventi realtà anche l’interporto, l’infrastruttura che tra Treviglio e Caravaggio servirà a scambiare le merci tra gomma e rotaia. Un richiamo irresistibile per la logistica. Al momento ci ha creduto solo la multinazionale svizzera Kuehne Nagel che ha giocato d’anticipo prendendo sede a Brignano qualche anno fa. Ci crede però anche il Comune di Caravaggio che a luglio ha portato in approvazione un Pgt in cui la storica zona industriale di via Panizzardo viene raddoppiata.
Passando il Serio la situazione si fa critica le zone produttive di Isso, Sola e Antegnate sono in difficoltà. È vuoto un capannone su due. Ancora di più le aree che i Pgt hanno destinato al produttivo e rimangono campi incolti. Poco più a nord c’è il centro commerciale di Cortenuova «Le acciaierie». Sono stati i primi a credere alle sirene di Brebemi e ora stritolati dalla crisi e della concorrenza resistono come i pioneri asserragliati a Fort Alamo.
Sul confine dell’Oglio c’è chi sorride. Calcio ha pescato il jolly. Qui una grande impresa ha prenotato un’area enorme per trasformarla in un hub. La vicinanza al casello di Brebemi ha funzionato. A frenare le ruspe però ci pensa la burocrazia. Ci vorrà ancora un anno prima che arrivino i permessi per aprire i cantieri. (Pietro Tosca, La Brebemi in arrivo non trascina gli affari, Corriere della Sera 9 settembre 2012)
Brebemi Spa è controllata da Autostrade Lombarde, che detiene l’89%
del capitale, mentre il 7,2% è in mano a Serravalle. Ma chi controlla
Autostrade Lombarde? Il socio di maggioranza è il gruppo Intesa Sanpaolo
(42,51% del capitale), seguito dal Gruppo Gavio (attraverso Satap) con
il 12,75%. Altri soci di peso sono i costruttori Pizzarotti (6,4%),
Unieco (5,78%) e Mattioda (5,3%). Pizzarotti possiede direttamente anche
il 3,1% di Brebemi, seguita da Unieco – socia Legacoop – con il 2,2% di
Brebemi.
Nel ruolo di advisor e underwriter, Intesa Sanpaolo ha il compito di organizzare il finanziamento. Il 25 luglio 2011 vengono deliberate linee di credito per 2,018 miliardi, così ripartiti: Cassa depositi e prestiti (762 milioni), Intesa Sanpaolo BIIS (289 milioni), Unicredit (289 milioni), Monte dei Paschi (289 milioni), Credito Bergamasco (100 milioni), Centrobanca (Ubi) (289 milioni). (Il Sole 24 Ore, 26.07.2011; Giornale di Brescia, 26.07.2011). Si tratta del finanziamento “senior” a lungo termine, necessario a completare i lavori. Di quella cifra è stato confermata recentemente (12 dicembre 2012) solo la parte di Cassa Depositi e Prestiti, ente pubblico che utilizza il risparmio postale. Per il resto i lavori sono sempre stati finanziati con “prestiti ponte”, ovvero finanziamenti a breve termine in attesa di perfezionare il finanziamento senior (nel quale poi confluirà): una sorta di “anticipo” che assomiglia molto a un azzardo, visto che se l’opera non dovesse andare in porto (e dunque non ci fossero le entrate da pedaggio) la banca registrerebbe una perdita secca. Insomma siamo di fronte ad un’operazione insensata sul piano finanziario, che finisce per mettere a repentaglio i soldi dei risparmiatori.
Brebemi ha beneficiato di un prestito ponte di 150 milioni nel novembre 2009 e un altro di 350 milioni nel febbraio 2011, entrambi erogati da BIIS (Intesa Sanpaolo) e Banco di Brescia (Ubi) (Il Sole 24 Ore, 19.02.11, Bilancio Brebemi Spa 2009).
Un altro grosso stanziamento da parte delle banche arriva il 17 febbraio 2012, quando Intesa Sanpaolo, Centrobanca (Ubi), UniCredit e Mps mettono sul piatto 546 milioni di euro. Così commentò l’operazione Legambiente Lombardia: “con questi soldi si potevano prestare 100.000 euro a testa a 5.460 piccole e medie imprese del territorio lombardo, che stanno chiudendo per mancanza di fidi o di prestiti”. Ad oggi il finanziamento è quasi completo e i lavori sono circa al 60%.
Nel ruolo di advisor e underwriter, Intesa Sanpaolo ha il compito di organizzare il finanziamento. Il 25 luglio 2011 vengono deliberate linee di credito per 2,018 miliardi, così ripartiti: Cassa depositi e prestiti (762 milioni), Intesa Sanpaolo BIIS (289 milioni), Unicredit (289 milioni), Monte dei Paschi (289 milioni), Credito Bergamasco (100 milioni), Centrobanca (Ubi) (289 milioni). (Il Sole 24 Ore, 26.07.2011; Giornale di Brescia, 26.07.2011). Si tratta del finanziamento “senior” a lungo termine, necessario a completare i lavori. Di quella cifra è stato confermata recentemente (12 dicembre 2012) solo la parte di Cassa Depositi e Prestiti, ente pubblico che utilizza il risparmio postale. Per il resto i lavori sono sempre stati finanziati con “prestiti ponte”, ovvero finanziamenti a breve termine in attesa di perfezionare il finanziamento senior (nel quale poi confluirà): una sorta di “anticipo” che assomiglia molto a un azzardo, visto che se l’opera non dovesse andare in porto (e dunque non ci fossero le entrate da pedaggio) la banca registrerebbe una perdita secca. Insomma siamo di fronte ad un’operazione insensata sul piano finanziario, che finisce per mettere a repentaglio i soldi dei risparmiatori.
Brebemi ha beneficiato di un prestito ponte di 150 milioni nel novembre 2009 e un altro di 350 milioni nel febbraio 2011, entrambi erogati da BIIS (Intesa Sanpaolo) e Banco di Brescia (Ubi) (Il Sole 24 Ore, 19.02.11, Bilancio Brebemi Spa 2009).
Un altro grosso stanziamento da parte delle banche arriva il 17 febbraio 2012, quando Intesa Sanpaolo, Centrobanca (Ubi), UniCredit e Mps mettono sul piatto 546 milioni di euro. Così commentò l’operazione Legambiente Lombardia: “con questi soldi si potevano prestare 100.000 euro a testa a 5.460 piccole e medie imprese del territorio lombardo, che stanno chiudendo per mancanza di fidi o di prestiti”. Ad oggi il finanziamento è quasi completo e i lavori sono circa al 60%.
Nota a margine: il presidente di Brebemi Spa è Francesco Bettoni,
manager pubblico/privato che conta forse il maggior numero di incarichi
della storia repubblicana. Il blog Tempi Moderni ne segnalava
addirittura trenta (post del 21 marzo 2012). Questi sono quelli
ricoperti all’inizio del 2011 nelle partecipate della Camera di
commercio di Brescia (di cui è presidente): consigliere dell’autostrada
Bs-Pd, presidente di Autostrade Lombarde, presidente della Borsa merci
telematica italiana, consigliere di Brixia Expo Fiera di Brescia,
consigliere di Futurimpresa Spa, amministratore delegato di Immobiliare
Fiera Spa, consigliere di Tecnoholding Spa. Bettono, tra l’altro, è
anche presidente di Confagricoltura Lombardia.
Pedemontana
87 km di autostrada e 70 di viabilità ordinaria, la nuova autostrada collegherà l’A8 all’A4 tra Cassano Magnago e Brembate, tagliando orizzontalmente tutti gli assi nord-sud verso Milano, ma anche cinque parchi regionali e diversi parchi locali. Il tracciato appare piuttosto tortuoso, attraverso sei provincie sull’asse tra Bergamo, Milano, Como e Varese. L’idea nasce addirittura negli anni ’50, quando la regione era molto meno urbanizzata e infrastrutturata. Basti pensare che la provincia di Monza e Brianza ha oggi un tasso di cementificazione del 54%, seguita da Milano (37%) e Varese (29%) (Ministero delle politiche agricole, Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione, settembre 2012).
87 km di autostrada e 70 di viabilità ordinaria, la nuova autostrada collegherà l’A8 all’A4 tra Cassano Magnago e Brembate, tagliando orizzontalmente tutti gli assi nord-sud verso Milano, ma anche cinque parchi regionali e diversi parchi locali. Il tracciato appare piuttosto tortuoso, attraverso sei provincie sull’asse tra Bergamo, Milano, Como e Varese. L’idea nasce addirittura negli anni ’50, quando la regione era molto meno urbanizzata e infrastrutturata. Basti pensare che la provincia di Monza e Brianza ha oggi un tasso di cementificazione del 54%, seguita da Milano (37%) e Varese (29%) (Ministero delle politiche agricole, Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione, settembre 2012).
I cantieri sono aperti solo sulla tratta A, compresa tra
l’interconnessione con l’autostrada A8 Milano-Varese, nel comune di
Cassano Magnago, e l’interconnessione con l’A9 Milano-Como, nel comune
di Lomazzo. I lavori su quel tratto sono stati affidati ad
un’Associazione temporanea di imprese (Ati) formata da Impregilo Spa
(mandataria), Astaldi Spa (mandante), A.C.I. Scpa – Consorzio Stabile
(mandante), Pizzarotti (mandante). Sul resto del tracciato i lavori (non
ancora cominciati) sono stati affidati all’Ati formata dall’austriaca
Strabag AG (mandataria), Grandi Lavori Fincosit (mandante), Impresa
Costruzioni Maltauro (mandante), Adanti (mandante).
Pedemontana è indubbiamente una delle opere più costose della storia italiana. Leggiamo sul sito di Pedemontana Spa: “La sua realizzazione richiede un impegno finanziario di 5 miliardi di euro, di cui 4,1 destinati alla costruzione dell’infrastruttura vera e propria, oltre 100 milioni di opere compensative e territoriali ed 800 milioni di oneri finanziari e gestionali nei trent’anni di durata della concessione”. Nello specifico parliamo di 536 milioni di capitale sociale, 1.244 milioni di contributi pubblici e 3.274 milioni di finanziamenti privati. Se ad esso sommiamo anche il costo della Teem superiamo i 7 miliardi per 120 km di autostrade: lo stesso prezzo pagato nel 1999 dalla famiglia Benetton per i 3400 km di Autostrade per l’Italia.
Ad oggi abbiamo solo 200 milioni di capitale versato, il contributo pubblico di 1,2 miliardi e 260 milioni di prestito ponte. Le cinque banche coinvolte le prestito ponte sono Intesa Sanpaolo (advisor), Unicredit, Centrobanca (Ubi), Banca Popolare di Milano e Monte dei Paschi, le stesse che dovrebbero organizzare il finanziamento grosso di 3,3 miliardi coinvolgendo altre banche (Marco Morino, Pedemontana trova le risorse, Il Sole 24 Ore, 23.02.11), di cui Cassa depositi e prestiti dovrebbe mettere 1,6 miliardi. Il condizionale è d’obbligo, perché come vedremo di quella cifra al momento non c’è traccia.
Pedemontana Spa è controllata al 68% da Serravalle, la quale a sua volta è controllata dalla Provincia di Milano attraverso Asam. Vale le pena sottolineare che il 14% di Serravalle è nelle mani del Gruppo Gavio, quasi onnipresente nei grandi appalti tra Lombardia e Piemonte. Com’è noto la Provincia di Milano ha messo in vendita la maggioranza di Serravalle, attraverso un’asta pubblica che si chiuderà il 10 luglio (la prima è andata deserta). Il secondo azionista di Pedemontana con il 26% del capitale è ancora Intesa Sanpaolo, seguita da Ubi con il 5%.
Il prestito ponte di cui sopra è stato erogato nel maggio 2011 in cambio del pegno su tutte le azioni detenute da Serravalle. Alla scadenza di quel finanziamento, il 30 novembre 2012, Pedemontana risultò insolvente e sfiorò il fallimento. Senza la restituzione di quel prestito la banche non concederanno un ulteriore finanziamento di 100 milioni previsto in precedenza. In cantiere c’era anche un aumento di capitale di 100 milioni, bloccato dalla esitazioni sei soci. Finora Serravalle ha messo sul piatto solo 26 milioni su 68 ma manca l’apporto delle banche azioniste, che prima di aprire il portafoglio pretendono un aggiornamento delle previsioni di traffico e maggiori garanzie sulla conclusione dei lavori sia sul primo tratto che sullo svincolo di Lomazzo. Ma senza l’aumento di capitale non si sbloccano nemmeno i 110 milioni promessi da Cal (la concessionaria della regione Lombardia). Una situazione di stallo che vede avvicinarsi a grandi passi il default.
Serravalle – da sempre società in attivo e fonte di utili per la casse della Provincia – si trova nella peggior crisi della sua storia, soprattutto a causa della sue controllate: Brebemi ma soprattutto Pedemontana e Tem. Chiunque si presenterà all’asta per acquisirla dovrà sborsare circa 1,6 miliardi, di cui 675 milioni per le azioni a base d’asta, 420 milioni per ricapitalizzare Pedemontana e Teem e 573 milioni di investimenti pregressi in base alla convenzione con l’Anas. Una cifra esorbitante, troppo alta anche per i colossi del settore, senza contare il rischio di fallimento delle due controllate.
Sulla situazione di Pedemontana è Interessante l’articolo di Sara Monaci comparso su Il Sole 24 Ore del 20 gennaio scorso.
Per la Pedemontana c’è una data cruciale: il prossimo 28 febbraio. Sarà quello il giorno in cui si decideranno definitivamente le sorti dei cantieri già avviati, e non è escluso che tutto si blocchi per mancanza di risorse. La notizia sta nelle pagine di un documento poco conosciuto, e soprattutto poco divulgato dai vertici della società stradale controllata da Serravalle, a sua volta di proprietà della Provincia di Milano (tramite la holding Asam). L’articolo 9 del secondo allegato al contratto per la realizzazione della prima parte dell’opera, sottoscritto dalla società Pedemontana e dalla cordata di imprese Pedelombarda guidata da Impregilo (che si è aggiudicata i lavori), prevede che «nel caso in cui al 28 febbraio 2013 Apl (Pedelombarda) non abbia dato comunicazione di avere acquisito le ulteriori risorse previste nelle premesse, l’obbligo del prefinanziamento verrà sospeso e Apl si impegna a non esigere e non consentire l’esecuzione dei lavori per i quali non disponga delle risorse finanziarie occorrenti per il puntuale pagamento dei Sal (stato avanzamento lavori) emessi, da emettere e progressivamente in corso di esecuzione». L’atto è stato firmato lo scorso settembre.
Di quante risorse si parla, in pratica? Di circa 200 milioni: i primi 100 per garantire il pagamento dei precedenti 3 mesi, altri 100 per assicurare il proseguimento dei lavori fino a giugno del primo tratto (il secondo è stato affidato all’austriaca Strabag, che ha appena concluso il progetto esecutivo e deve ancora far partire i cantieri). Se tutto si dovesse effettivamente fermare, a risentirne sarebbe una filiera composta da 800 imprese e 3.500 addetti, che lavorano intorno al sistema Pedemontana.
Reperire questo finanziamento non sarà semplice. L’opera, del valore complessivo di 5 miliardi, ha ricevuto in tutto 200 milioni di prestito ponte e ha versato altri 200 milioni di equity. Gode inoltre di 1,2 miliardi di finanziamenti pubblici, che adesso sono tutti praticamente impegnati per il primo tratto appaltato alla cordata di Impregilo. Per il resto è ancora tutto da inventare. Più nell’immediato, ci sono due misure che stanno attendendo una decisione, ancora incerta: un aumento di capitale da 100 milioni, deliberato da Pedemontana, ma non ancora versato dai soci e di cui Serravalle, che possiede il 68% della società, ne ha messi solo 26; un ulteriore finanziamento pubblico da 110 milioni da parte di Cal, la concessionaria regionale.
Per quanto riguarda l’aumento di capitale, gli azionisti non sembrano ancora tutti d’accordo, o quantomeno rimangono ancora a guardare. In particolare le banche, secondo le indiscrezioni, chiederebbero maggiori garanzie sulla fine dei lavori del primo tratto, sull’aggiornamento dei dati di traffico e sull’effettiva realizzazione dello svincolo di Lomazzo, che renderebbe utilizzabili da subito i primi 20 chilometri. Questi nuovi approfondimenti per gli istituti di credito sono ritenuti indispensabile anche per deliberare un ulteriore prestito ponte già richiesto dalla società (altri 100 milioni).
Per quanto riguarda il finanziamento pubblico, la Cal si era impegnata a dare un contributo di 110 milioni per permettere alla Pedemontana di recuperare gli investimenti pregressi, passando da una copertura del 30 all’80% dei costi già sostenuti; la decisione era tuttavia subordinata allo stesso aumento di capitale, ancora bloccato. Quindi, riassumendo, allo stato attuale ci sono in cassa solo i 26 milioni versati da Serravalle.
I vertici di Pedemontana (e della controllante Serravalle) conoscono l’esistenza della scadenza imposta dalle imprese, ma per ora nessuno parla del prossimo 28 febbraio. Il motivo di tale riservatezza è facilmente intuibile: i nodi verranno al pettine solo 4 giorni dopo le elezioni regionali e politiche, e parlare ora dei problemi di una società pubblica potrebbe diventare controproducente durante la campagna elettorale.
Pedemontana è indubbiamente una delle opere più costose della storia italiana. Leggiamo sul sito di Pedemontana Spa: “La sua realizzazione richiede un impegno finanziario di 5 miliardi di euro, di cui 4,1 destinati alla costruzione dell’infrastruttura vera e propria, oltre 100 milioni di opere compensative e territoriali ed 800 milioni di oneri finanziari e gestionali nei trent’anni di durata della concessione”. Nello specifico parliamo di 536 milioni di capitale sociale, 1.244 milioni di contributi pubblici e 3.274 milioni di finanziamenti privati. Se ad esso sommiamo anche il costo della Teem superiamo i 7 miliardi per 120 km di autostrade: lo stesso prezzo pagato nel 1999 dalla famiglia Benetton per i 3400 km di Autostrade per l’Italia.
Ad oggi abbiamo solo 200 milioni di capitale versato, il contributo pubblico di 1,2 miliardi e 260 milioni di prestito ponte. Le cinque banche coinvolte le prestito ponte sono Intesa Sanpaolo (advisor), Unicredit, Centrobanca (Ubi), Banca Popolare di Milano e Monte dei Paschi, le stesse che dovrebbero organizzare il finanziamento grosso di 3,3 miliardi coinvolgendo altre banche (Marco Morino, Pedemontana trova le risorse, Il Sole 24 Ore, 23.02.11), di cui Cassa depositi e prestiti dovrebbe mettere 1,6 miliardi. Il condizionale è d’obbligo, perché come vedremo di quella cifra al momento non c’è traccia.
Pedemontana Spa è controllata al 68% da Serravalle, la quale a sua volta è controllata dalla Provincia di Milano attraverso Asam. Vale le pena sottolineare che il 14% di Serravalle è nelle mani del Gruppo Gavio, quasi onnipresente nei grandi appalti tra Lombardia e Piemonte. Com’è noto la Provincia di Milano ha messo in vendita la maggioranza di Serravalle, attraverso un’asta pubblica che si chiuderà il 10 luglio (la prima è andata deserta). Il secondo azionista di Pedemontana con il 26% del capitale è ancora Intesa Sanpaolo, seguita da Ubi con il 5%.
Il prestito ponte di cui sopra è stato erogato nel maggio 2011 in cambio del pegno su tutte le azioni detenute da Serravalle. Alla scadenza di quel finanziamento, il 30 novembre 2012, Pedemontana risultò insolvente e sfiorò il fallimento. Senza la restituzione di quel prestito la banche non concederanno un ulteriore finanziamento di 100 milioni previsto in precedenza. In cantiere c’era anche un aumento di capitale di 100 milioni, bloccato dalla esitazioni sei soci. Finora Serravalle ha messo sul piatto solo 26 milioni su 68 ma manca l’apporto delle banche azioniste, che prima di aprire il portafoglio pretendono un aggiornamento delle previsioni di traffico e maggiori garanzie sulla conclusione dei lavori sia sul primo tratto che sullo svincolo di Lomazzo. Ma senza l’aumento di capitale non si sbloccano nemmeno i 110 milioni promessi da Cal (la concessionaria della regione Lombardia). Una situazione di stallo che vede avvicinarsi a grandi passi il default.
Serravalle – da sempre società in attivo e fonte di utili per la casse della Provincia – si trova nella peggior crisi della sua storia, soprattutto a causa della sue controllate: Brebemi ma soprattutto Pedemontana e Tem. Chiunque si presenterà all’asta per acquisirla dovrà sborsare circa 1,6 miliardi, di cui 675 milioni per le azioni a base d’asta, 420 milioni per ricapitalizzare Pedemontana e Teem e 573 milioni di investimenti pregressi in base alla convenzione con l’Anas. Una cifra esorbitante, troppo alta anche per i colossi del settore, senza contare il rischio di fallimento delle due controllate.
Sulla situazione di Pedemontana è Interessante l’articolo di Sara Monaci comparso su Il Sole 24 Ore del 20 gennaio scorso.
Per la Pedemontana c’è una data cruciale: il prossimo 28 febbraio. Sarà quello il giorno in cui si decideranno definitivamente le sorti dei cantieri già avviati, e non è escluso che tutto si blocchi per mancanza di risorse. La notizia sta nelle pagine di un documento poco conosciuto, e soprattutto poco divulgato dai vertici della società stradale controllata da Serravalle, a sua volta di proprietà della Provincia di Milano (tramite la holding Asam). L’articolo 9 del secondo allegato al contratto per la realizzazione della prima parte dell’opera, sottoscritto dalla società Pedemontana e dalla cordata di imprese Pedelombarda guidata da Impregilo (che si è aggiudicata i lavori), prevede che «nel caso in cui al 28 febbraio 2013 Apl (Pedelombarda) non abbia dato comunicazione di avere acquisito le ulteriori risorse previste nelle premesse, l’obbligo del prefinanziamento verrà sospeso e Apl si impegna a non esigere e non consentire l’esecuzione dei lavori per i quali non disponga delle risorse finanziarie occorrenti per il puntuale pagamento dei Sal (stato avanzamento lavori) emessi, da emettere e progressivamente in corso di esecuzione». L’atto è stato firmato lo scorso settembre.
Di quante risorse si parla, in pratica? Di circa 200 milioni: i primi 100 per garantire il pagamento dei precedenti 3 mesi, altri 100 per assicurare il proseguimento dei lavori fino a giugno del primo tratto (il secondo è stato affidato all’austriaca Strabag, che ha appena concluso il progetto esecutivo e deve ancora far partire i cantieri). Se tutto si dovesse effettivamente fermare, a risentirne sarebbe una filiera composta da 800 imprese e 3.500 addetti, che lavorano intorno al sistema Pedemontana.
Reperire questo finanziamento non sarà semplice. L’opera, del valore complessivo di 5 miliardi, ha ricevuto in tutto 200 milioni di prestito ponte e ha versato altri 200 milioni di equity. Gode inoltre di 1,2 miliardi di finanziamenti pubblici, che adesso sono tutti praticamente impegnati per il primo tratto appaltato alla cordata di Impregilo. Per il resto è ancora tutto da inventare. Più nell’immediato, ci sono due misure che stanno attendendo una decisione, ancora incerta: un aumento di capitale da 100 milioni, deliberato da Pedemontana, ma non ancora versato dai soci e di cui Serravalle, che possiede il 68% della società, ne ha messi solo 26; un ulteriore finanziamento pubblico da 110 milioni da parte di Cal, la concessionaria regionale.
Per quanto riguarda l’aumento di capitale, gli azionisti non sembrano ancora tutti d’accordo, o quantomeno rimangono ancora a guardare. In particolare le banche, secondo le indiscrezioni, chiederebbero maggiori garanzie sulla fine dei lavori del primo tratto, sull’aggiornamento dei dati di traffico e sull’effettiva realizzazione dello svincolo di Lomazzo, che renderebbe utilizzabili da subito i primi 20 chilometri. Questi nuovi approfondimenti per gli istituti di credito sono ritenuti indispensabile anche per deliberare un ulteriore prestito ponte già richiesto dalla società (altri 100 milioni).
Per quanto riguarda il finanziamento pubblico, la Cal si era impegnata a dare un contributo di 110 milioni per permettere alla Pedemontana di recuperare gli investimenti pregressi, passando da una copertura del 30 all’80% dei costi già sostenuti; la decisione era tuttavia subordinata allo stesso aumento di capitale, ancora bloccato. Quindi, riassumendo, allo stato attuale ci sono in cassa solo i 26 milioni versati da Serravalle.
I vertici di Pedemontana (e della controllante Serravalle) conoscono l’esistenza della scadenza imposta dalle imprese, ma per ora nessuno parla del prossimo 28 febbraio. Il motivo di tale riservatezza è facilmente intuibile: i nodi verranno al pettine solo 4 giorni dopo le elezioni regionali e politiche, e parlare ora dei problemi di una società pubblica potrebbe diventare controproducente durante la campagna elettorale.
Tangenziale Est Esterna Milano (Teem)
Se la situazione finanziaria di Pedemontana è grave, quella di Tangenziale Est Esterna di Milano è gravissima. Parliamo di un arteria a pagamento di 32 km di autostrada e 38 di viabilità ordinaria, al costo ufficiale di 1,7 miliardi (al quale occorre sommare gli oneri finanziari). In tutto siamo oltre i due miliardi, di cui sono disponibili solo 120 milioni di prestito ponte (sulla carta) e 100 milioni di capitale sociale. Scopo dell’infrastruttura è sgravare l’attuale tangenziale est, sempre imbottigliata nelle ore di punta, e collegarsi alla Brebemi nel cosiddetto “arco Tem” tra la Paullese e la Rivoltana. In particolare la Teem collegherà le autostrade A4 (Milano Venezia) e A1 (Milano Bologna), da Agrate Brianza a Cerro al Lambro. La zona è tra le più fertili d’Italia, percorsa da una fitta rete irrigua che alimenta le coltivazioni, formata da canali e vie d’acqua alla base del sistema di rogge e fossi. La Teem taglierà anche due parchi naturali (Molgora e Adda Sud) e un parco agricolo (Milano Sud), incrociando strade storiche come la Paullese, la Rivoltana, la Cassanese, la Padana Superiore, la Monza-Melzo e via Emilia. Saranno circa 200 le aziende agricole danneggiate dall’opera.
Il 57% di Tangenziale Esterna Spa è in mano a Tem Spa, che fa capo a Serravalle (32%) e ad Asam (la finanziaria della provincia di Milano che controlla Serravalle). Quindi il pacchetto di controllo riporta alla provincia di Milano, seguita dall’8% di Autostrade Lombarde e dal 5% di Intesa Sanpaolo. Scendendo sulla controllata Tangenziale Esterna, i primi tre soci sono Impregilo, Pizzarotti e Coopsette.
A mettere in dubbio l’utilità dell’opera fu uno studio commissionato nel 2007 dalla stessa Regione Lombardia, che però finì presto nel cassetto. In un documento firmato da Legambiente e dal Coordinamento Interprovinciale per la Mobilità sostenibile e inviato alle istituzioni nel maggio 2010 si riportano i dati di quello studio: la Teem porterà un aumento del 50% del traffico sulla Cassanese e sulla Rivoltana, che non verrà compensato dalla riduzione prevista sulla Paullese, sulla Padana e sulla Cerca. Al tempo stesso il traffico diminuirà del 6% sull’attuale Tangenziale est e del 16% sull’A4, mentre intorno al raccordo di Agrate la circolazione è destinata a crescere del 2%. Numeri evidentemente insufficienti a giustificare un investimento di quella portata. Sempre nel 2007 i comuni commissionarono una ricerca alla società di ingegneria dei trasporti Polinonia, che mise a punto un’ipotesi alternativa a costi infinitamente più bassi. Lo studio contemplava il miglioramento della viabilità ordinaria, l’eliminazione dei “colli di bottiglia” e il potenziamento delle metropolitane.
Anche questo progetto fu accantonato e nello stesso anno i comuni firmarono l’accordo di programma cha dava il via libera ai lavori. In quell’accordo era previsto il prolungamento della metropolitana M3 fino a Paullo e della M2 fino a Vimercate: una promessa non mantenuta per mancanza di soldi, tanto che le metropolitane non furono nemmeno progettate.
Tornando all’aspetto finanziario, le risorse dovranno essere reperite da Biis (Intesa Snpaolo), Centrobanca (Gruppo Ubi) e Bpm. Tecnicamente le tre banche ricoprono il ruolo di arranger, ossia coloro che progettano e pianificano il finanziamento. (C.S. Te Spa 07.02.2012; Anche Ubi e Bpm arranger della Tangenziale est esterna di Milano, Mf 08.02.2012) Cassa Depositi e Prestiti ha dato una disponibilità fino a 500 milioni di euro, mai erogati in attesa della decisione delle banche.
Il 3 agosto 2011 arriva il via libera del Cipe al progetto definitivo e il 7 febbraio 2012 il Consiglio di Amministrazione di Tangenziale Esterna Spa affida i lavori al Consorzio CCT, costituito dai costruttori soci della concessionaria Te Spa: Impregilo 15,5% (30% Salini e 30% Gavio), Pizzarotti 7,9%, Coopsette 4,1%, Unieco 4%, Cmb 4%, Cmc 3,2%, Itinera 1%, Pavimental 1%. I soli lavori valgono oltre 970 milioni di euro.
Ad oggi, oltre al capitale sociale di 100 milioni, è stato deliberato un prestito ponte di 120 milioni (dalla tre banche di cui sopra) in cambio di un aumento di capitale dello stesso importo, che tuttavia non c’è ancora stato. L’azionista di maggioranza Serravalle infatti non ha ancora messo mano al portafoglio e per quanto possibile cerca di far slittare il più possibile l’operazione, anche in vista della vendita della società.
Anche qui siamo di fronte ad una mancanza cronica di risorse, che tuttavia non ha scoraggiato i vertici di Tem e Te. Con le casse quasi vuote, in due mesi tra l’estate e l’autunno scorso scorsa sono stai aperti ben 13 cantieri.
Se la situazione finanziaria di Pedemontana è grave, quella di Tangenziale Est Esterna di Milano è gravissima. Parliamo di un arteria a pagamento di 32 km di autostrada e 38 di viabilità ordinaria, al costo ufficiale di 1,7 miliardi (al quale occorre sommare gli oneri finanziari). In tutto siamo oltre i due miliardi, di cui sono disponibili solo 120 milioni di prestito ponte (sulla carta) e 100 milioni di capitale sociale. Scopo dell’infrastruttura è sgravare l’attuale tangenziale est, sempre imbottigliata nelle ore di punta, e collegarsi alla Brebemi nel cosiddetto “arco Tem” tra la Paullese e la Rivoltana. In particolare la Teem collegherà le autostrade A4 (Milano Venezia) e A1 (Milano Bologna), da Agrate Brianza a Cerro al Lambro. La zona è tra le più fertili d’Italia, percorsa da una fitta rete irrigua che alimenta le coltivazioni, formata da canali e vie d’acqua alla base del sistema di rogge e fossi. La Teem taglierà anche due parchi naturali (Molgora e Adda Sud) e un parco agricolo (Milano Sud), incrociando strade storiche come la Paullese, la Rivoltana, la Cassanese, la Padana Superiore, la Monza-Melzo e via Emilia. Saranno circa 200 le aziende agricole danneggiate dall’opera.
Il 57% di Tangenziale Esterna Spa è in mano a Tem Spa, che fa capo a Serravalle (32%) e ad Asam (la finanziaria della provincia di Milano che controlla Serravalle). Quindi il pacchetto di controllo riporta alla provincia di Milano, seguita dall’8% di Autostrade Lombarde e dal 5% di Intesa Sanpaolo. Scendendo sulla controllata Tangenziale Esterna, i primi tre soci sono Impregilo, Pizzarotti e Coopsette.
A mettere in dubbio l’utilità dell’opera fu uno studio commissionato nel 2007 dalla stessa Regione Lombardia, che però finì presto nel cassetto. In un documento firmato da Legambiente e dal Coordinamento Interprovinciale per la Mobilità sostenibile e inviato alle istituzioni nel maggio 2010 si riportano i dati di quello studio: la Teem porterà un aumento del 50% del traffico sulla Cassanese e sulla Rivoltana, che non verrà compensato dalla riduzione prevista sulla Paullese, sulla Padana e sulla Cerca. Al tempo stesso il traffico diminuirà del 6% sull’attuale Tangenziale est e del 16% sull’A4, mentre intorno al raccordo di Agrate la circolazione è destinata a crescere del 2%. Numeri evidentemente insufficienti a giustificare un investimento di quella portata. Sempre nel 2007 i comuni commissionarono una ricerca alla società di ingegneria dei trasporti Polinonia, che mise a punto un’ipotesi alternativa a costi infinitamente più bassi. Lo studio contemplava il miglioramento della viabilità ordinaria, l’eliminazione dei “colli di bottiglia” e il potenziamento delle metropolitane.
Anche questo progetto fu accantonato e nello stesso anno i comuni firmarono l’accordo di programma cha dava il via libera ai lavori. In quell’accordo era previsto il prolungamento della metropolitana M3 fino a Paullo e della M2 fino a Vimercate: una promessa non mantenuta per mancanza di soldi, tanto che le metropolitane non furono nemmeno progettate.
Tornando all’aspetto finanziario, le risorse dovranno essere reperite da Biis (Intesa Snpaolo), Centrobanca (Gruppo Ubi) e Bpm. Tecnicamente le tre banche ricoprono il ruolo di arranger, ossia coloro che progettano e pianificano il finanziamento. (C.S. Te Spa 07.02.2012; Anche Ubi e Bpm arranger della Tangenziale est esterna di Milano, Mf 08.02.2012) Cassa Depositi e Prestiti ha dato una disponibilità fino a 500 milioni di euro, mai erogati in attesa della decisione delle banche.
Il 3 agosto 2011 arriva il via libera del Cipe al progetto definitivo e il 7 febbraio 2012 il Consiglio di Amministrazione di Tangenziale Esterna Spa affida i lavori al Consorzio CCT, costituito dai costruttori soci della concessionaria Te Spa: Impregilo 15,5% (30% Salini e 30% Gavio), Pizzarotti 7,9%, Coopsette 4,1%, Unieco 4%, Cmb 4%, Cmc 3,2%, Itinera 1%, Pavimental 1%. I soli lavori valgono oltre 970 milioni di euro.
Ad oggi, oltre al capitale sociale di 100 milioni, è stato deliberato un prestito ponte di 120 milioni (dalla tre banche di cui sopra) in cambio di un aumento di capitale dello stesso importo, che tuttavia non c’è ancora stato. L’azionista di maggioranza Serravalle infatti non ha ancora messo mano al portafoglio e per quanto possibile cerca di far slittare il più possibile l’operazione, anche in vista della vendita della società.
Anche qui siamo di fronte ad una mancanza cronica di risorse, che tuttavia non ha scoraggiato i vertici di Tem e Te. Con le casse quasi vuote, in due mesi tra l’estate e l’autunno scorso scorsa sono stai aperti ben 13 cantieri.
Broni-Mortara
Il tracciato della Broni Mortara (ma sarebbe più esatto dire la Redavalle-Stroppiana dato che sconfina in Piemonte) si snoda per 51 km di autostrada e 17 km di viabilità connessa. Siamo in Lomellina, dove il riso è uno dei simboli del “made in Italy”. Nella provincia pavese l’agricoltura è il terzo settore produttivo, con 3500 addetti e una produzione annua di 6 milioni di quintali di riso e 2,5 milioni di quintali di mais, oltre a latte, vino e legname. L’autostrada taglierà in due 154 aziende agricole ma quelle danneggiate saranno oltre 200, anche perchè la strada passerà a cinque metri di altezza e questo richiederà l’apertura di 21 cave.
L’idea risale alla fine degli anni ‘60 ma la prima Conferenza dei servizi si tenne alla fine del 2006. Il progetto è tutto regionale e ancora una volta è legittimo chiedersi la motivazione tecnica di una tale iniziativa.
In un comunicato congiunto del 16 novembre 2012 Confederazione italiana agricoltori, Coldiretti Vercelli-Biella e Confagricoltura Vercelli-Biella scrissero: “Il territorio si trova a dover fronteggiare l’ennesima delle cosiddette ‘grandi opere’ che, a fronte della realizzazione di un collegamento autostradale di dubbia urgenza, distruggerà circa 700 ettari di suolo agricolo. Non solo: l’esperienza insegna che, alla realizzazione di tali opere infrastrutturali, consegue quella dell’occupazione delle aree per le nuove cave, puntualmente definite di ‘minimo impatto’ poiché destinate ad essere rimesse a coltura, ma che alla fine rimangono buchi vuoti.
Il territorio provinciale di Vercelli vanta già il primato di infrastrutture stradali a livello regionale: non si tratta, quindi, di una provincia scollegata dalle principali arterie viarie, ma già oggi nodo di importanti arterie quali, ad esempio, le autostrade per Milano, Torino, Genova, Aosta e il Monte Bianco, il Sempione e i Laghi lombardi. Il tutto senza considerare l’alta velocità ferroviaria, che pure non ha nessuno scalo nel nostro territorio ed ha contribuito al suo isolamento economico”.La prima Conferenza dei servizi si tenne nel 2006, quando la maggioranza dei sindaci diede il via libera al progetto preliminare sul primo tratto da Redavalle (Broni), dove incrocerà l’A21 Torino Brescia fino a Castel d’Agogna (Mortara).
Nel frattempo sono partiti i ricorsi al Tar e nel gennaio 2012 è arrivato il progetto definitivo. Da qui altre osservazioni furono spedite al Ministero dell’Ambiente, che decise di rinviare la valutazione di impatto ambientale al marzo 2013. Intanto però è cresciuto il fronte del no: se nel 2006 erano contrari 6 comuni su 18, oggi sono almeno la metà. Il 18 dicembre scorso si tenne la prima Conferenza dei servizi sul progetto preliminare del secondo tratto, dalla quale furono escluse le associazioni del territorio. Il progetto passò con pochi voti di scarto e ora si apre la fase delle osservazioni al progetto preliminare. La strada è ancora lunga.
Il costo complessivo è di 932 milioni, di cui 741 milioni per i lavori e 190 milioni circa per espropri e altre attività connesse, per una concessione di 42 anni. La Regione Lombardia incasserà un canone annuo di 6 milioni, che si aggiunge al 4% dei proventi netti incassati ogni anno e ai 14 milioni già ricevuti alla firma della convenzione. Al momento delle gara la Sabrom rinunciò al contributo regionale di 78 milioni, ma sul bilancio regionale 2013 compare un contributo pubblico di 15 milioni. E’ appena il caso di sottolineare che il piano economico e finanziario è secretato, come quello di tutte le concessioni autostradali in Italia.
Il tracciato della Broni Mortara (ma sarebbe più esatto dire la Redavalle-Stroppiana dato che sconfina in Piemonte) si snoda per 51 km di autostrada e 17 km di viabilità connessa. Siamo in Lomellina, dove il riso è uno dei simboli del “made in Italy”. Nella provincia pavese l’agricoltura è il terzo settore produttivo, con 3500 addetti e una produzione annua di 6 milioni di quintali di riso e 2,5 milioni di quintali di mais, oltre a latte, vino e legname. L’autostrada taglierà in due 154 aziende agricole ma quelle danneggiate saranno oltre 200, anche perchè la strada passerà a cinque metri di altezza e questo richiederà l’apertura di 21 cave.
L’idea risale alla fine degli anni ‘60 ma la prima Conferenza dei servizi si tenne alla fine del 2006. Il progetto è tutto regionale e ancora una volta è legittimo chiedersi la motivazione tecnica di una tale iniziativa.
In un comunicato congiunto del 16 novembre 2012 Confederazione italiana agricoltori, Coldiretti Vercelli-Biella e Confagricoltura Vercelli-Biella scrissero: “Il territorio si trova a dover fronteggiare l’ennesima delle cosiddette ‘grandi opere’ che, a fronte della realizzazione di un collegamento autostradale di dubbia urgenza, distruggerà circa 700 ettari di suolo agricolo. Non solo: l’esperienza insegna che, alla realizzazione di tali opere infrastrutturali, consegue quella dell’occupazione delle aree per le nuove cave, puntualmente definite di ‘minimo impatto’ poiché destinate ad essere rimesse a coltura, ma che alla fine rimangono buchi vuoti.
Il territorio provinciale di Vercelli vanta già il primato di infrastrutture stradali a livello regionale: non si tratta, quindi, di una provincia scollegata dalle principali arterie viarie, ma già oggi nodo di importanti arterie quali, ad esempio, le autostrade per Milano, Torino, Genova, Aosta e il Monte Bianco, il Sempione e i Laghi lombardi. Il tutto senza considerare l’alta velocità ferroviaria, che pure non ha nessuno scalo nel nostro territorio ed ha contribuito al suo isolamento economico”.La prima Conferenza dei servizi si tenne nel 2006, quando la maggioranza dei sindaci diede il via libera al progetto preliminare sul primo tratto da Redavalle (Broni), dove incrocerà l’A21 Torino Brescia fino a Castel d’Agogna (Mortara).
Nel frattempo sono partiti i ricorsi al Tar e nel gennaio 2012 è arrivato il progetto definitivo. Da qui altre osservazioni furono spedite al Ministero dell’Ambiente, che decise di rinviare la valutazione di impatto ambientale al marzo 2013. Intanto però è cresciuto il fronte del no: se nel 2006 erano contrari 6 comuni su 18, oggi sono almeno la metà. Il 18 dicembre scorso si tenne la prima Conferenza dei servizi sul progetto preliminare del secondo tratto, dalla quale furono escluse le associazioni del territorio. Il progetto passò con pochi voti di scarto e ora si apre la fase delle osservazioni al progetto preliminare. La strada è ancora lunga.
Il costo complessivo è di 932 milioni, di cui 741 milioni per i lavori e 190 milioni circa per espropri e altre attività connesse, per una concessione di 42 anni. La Regione Lombardia incasserà un canone annuo di 6 milioni, che si aggiunge al 4% dei proventi netti incassati ogni anno e ai 14 milioni già ricevuti alla firma della convenzione. Al momento delle gara la Sabrom rinunciò al contributo regionale di 78 milioni, ma sul bilancio regionale 2013 compare un contributo pubblico di 15 milioni. E’ appena il caso di sottolineare che il piano economico e finanziario è secretato, come quello di tutte le concessioni autostradali in Italia.
Tirreno-Brennero
La Tirreno-Brennero (Ti.Bre) è un corridoio di 85 km che collegherà le autostrade A15 delle Cisa e A1 tra Fontevivo (Parma) a Nogarole Rocca (Verona), attraversando tre regioni: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Il via libera del Cipe al progetto definitivo arriva il 9 maggio 2006, con alcune modifiche da apportare e il 22 gennaio 2010 viene approvato il progetto definitivo sul primo lotto: 513 milioni per 13 km nel tratto tra Fontevivo-Trecasali e Terre Verdiane, in provincia di Parma. Seguirà il via libera dell’Anas nell’aprile 2011 e l’accordo tra Autocisa e la provincia di Parma per la realizzazione delle opere compensative (marzo 2012). L’Autocisa è la società di Gavio incaricata di costruire e gestire l’autostrada. Il costo preventivato è di poco superiore a 1,8 miliardi di euro. L’arteria dovrebbe innestarsi sulla Cremona-Mantova (per ora solo sulla carta).
La Tirreno-Brennero (Ti.Bre) è un corridoio di 85 km che collegherà le autostrade A15 delle Cisa e A1 tra Fontevivo (Parma) a Nogarole Rocca (Verona), attraversando tre regioni: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Il via libera del Cipe al progetto definitivo arriva il 9 maggio 2006, con alcune modifiche da apportare e il 22 gennaio 2010 viene approvato il progetto definitivo sul primo lotto: 513 milioni per 13 km nel tratto tra Fontevivo-Trecasali e Terre Verdiane, in provincia di Parma. Seguirà il via libera dell’Anas nell’aprile 2011 e l’accordo tra Autocisa e la provincia di Parma per la realizzazione delle opere compensative (marzo 2012). L’Autocisa è la società di Gavio incaricata di costruire e gestire l’autostrada. Il costo preventivato è di poco superiore a 1,8 miliardi di euro. L’arteria dovrebbe innestarsi sulla Cremona-Mantova (per ora solo sulla carta).
Cremona-Mantova
Il 18 luglio 2011 il Ministero dell’Ambiente e quello dei Beni culturali approvarono con decreto il progetto definitivo della nuova strada a pedaggio Cremona Mantova, con annessa Valutazione di impatto ambientale e si aprì la Conferenza dei Servizi. Il 25 gennaio 2012 Legambiente, Wwf Italia e coordinamento comitati ambientalisti Lombardia firmarono un Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica per annullare il decreto ministeriale. I punti del ricorso sono riassunti in un comunicato di Salviamo il paesaggio di Cremona dell’8 febbraio 2012, di cui riportiamo uno stralcio:
Il 18 luglio 2011 il Ministero dell’Ambiente e quello dei Beni culturali approvarono con decreto il progetto definitivo della nuova strada a pedaggio Cremona Mantova, con annessa Valutazione di impatto ambientale e si aprì la Conferenza dei Servizi. Il 25 gennaio 2012 Legambiente, Wwf Italia e coordinamento comitati ambientalisti Lombardia firmarono un Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica per annullare il decreto ministeriale. I punti del ricorso sono riassunti in un comunicato di Salviamo il paesaggio di Cremona dell’8 febbraio 2012, di cui riportiamo uno stralcio:
Il Coordinamento dei Comitati contro le autostrade Cr-Mn e Ti-Bre,
chiede che la Cr-Mn non si realizzi e che i 108 milioni di euro
stanziati in proposito dalla regione Lombardia vengano destinati al
potenziamento della linea ferroviaria Mantova-Milano ed alla
riqualificazione della ex S.S. 10.
Per la costruzione dell’autostrada lunga una sessantina di chilometri, si prevede l’utilizzo di 16.500.000 m3 di inerti da reperire nelle cave di prestito dislocate nella campagna cremonese e mantovana; la realizzazione di 4 svincoli di interconnessione con le autostrade A21 e A22, 2 gallerie, 9 ponti; 7 viadotti, 122 bretelle di collegamento, 5 autostazioni a pedaggio, 2 aree di servizio e 2 aree di sosta (di cui una incredibile e devastante al monumento naturale “Lagazzi” di Piadena, per consentire agli automobilisti di visitare ciò che resta della foresta padana). Sono in progetto 400 interventi su corsi d’acqua e 243 interferenze con il sistema della viabilità esistente.
Considerando anche le necessità dell’autostrada Tirreno-Brennero e il previsto terzo ponte sul Po, stimiamo un consumo di suolo pare a 2.878 ettari: un’altra opera, devastante, costosa e inutile, la cui conclusione già prevista per il 2007/8 sembra ora slittare al 2032/35.
Oltre un centinaio di aziende agricole, molte delle quali dedicate alla produzione del Grana Padano, dovranno cessare l’attività; terra fertile verrà ancora sottratta alla produzione di alimenti per uomini e animali; il paesaggio rurale, anche nei suoi angoli più preziosi quali quelli in cui sono tutt’oggi visibili i segni della centuriazione romana verrà irrimediabilmente compromesso.
La cittadinanza, non interpellata nella procedura di Valutazione ambientale, non ha avuto neppure la possibilità di esprimere il proprio parere.
In Lombardia urbanizzazione e cementificazione hanno proceduto negli ultimi decenni ad un ritmo con tutta evidenza insostenibile: ogni anno si è perso una capacità di produzione agricola pari a 27 mila tonnellate di grano ed è andata proporzionalmente riducendosi la capacità del terreno di immagazzinare anidride carbonica.
Per la costruzione dell’autostrada lunga una sessantina di chilometri, si prevede l’utilizzo di 16.500.000 m3 di inerti da reperire nelle cave di prestito dislocate nella campagna cremonese e mantovana; la realizzazione di 4 svincoli di interconnessione con le autostrade A21 e A22, 2 gallerie, 9 ponti; 7 viadotti, 122 bretelle di collegamento, 5 autostazioni a pedaggio, 2 aree di servizio e 2 aree di sosta (di cui una incredibile e devastante al monumento naturale “Lagazzi” di Piadena, per consentire agli automobilisti di visitare ciò che resta della foresta padana). Sono in progetto 400 interventi su corsi d’acqua e 243 interferenze con il sistema della viabilità esistente.
Considerando anche le necessità dell’autostrada Tirreno-Brennero e il previsto terzo ponte sul Po, stimiamo un consumo di suolo pare a 2.878 ettari: un’altra opera, devastante, costosa e inutile, la cui conclusione già prevista per il 2007/8 sembra ora slittare al 2032/35.
Oltre un centinaio di aziende agricole, molte delle quali dedicate alla produzione del Grana Padano, dovranno cessare l’attività; terra fertile verrà ancora sottratta alla produzione di alimenti per uomini e animali; il paesaggio rurale, anche nei suoi angoli più preziosi quali quelli in cui sono tutt’oggi visibili i segni della centuriazione romana verrà irrimediabilmente compromesso.
La cittadinanza, non interpellata nella procedura di Valutazione ambientale, non ha avuto neppure la possibilità di esprimere il proprio parere.
In Lombardia urbanizzazione e cementificazione hanno proceduto negli ultimi decenni ad un ritmo con tutta evidenza insostenibile: ogni anno si è perso una capacità di produzione agricola pari a 27 mila tonnellate di grano ed è andata proporzionalmente riducendosi la capacità del terreno di immagazzinare anidride carbonica.
Il costo si aggira intorno agli 813 milioni di euro, di cui 108 a
carico delle Regione Lombardia, ma anche qui le risorse scarseggiano.
Promotore dell’iniziativa è un’aggregazione di imprese confluita in
Stradivaria Spa. Capofila dell’aggregazione è Centropadane – che
gestisce anche la A21 nel tratto Piacenza-Brescia – una società a
maggioranza pubblica controllata per lo più da enti locali (la provincia
di Brescia ha la quota maggioritaria con il 22,6%) ma non solo. Tra gli
azionisti privati compare anche A4 Holding (13%) e A2A (1,63%).
Quest’ultima tuttavia nell’estate del 2012 mise sul mercato la sua
quota, che fu acquisita da Gavio per 1 milione e 660mila euro.
Intanto molti comuni, prima favorevoli, stanno tornando sui propri passi.
Restano irrisolti i problemi finanziari. L’opera compare sul sito di Biis (Intesa Sanpaolo), che si assunse il compito di trovare sul mercato finanziamenti per 430 milioni di euro. Si tratta di un vecchio impegno che non ebbe mai seguito, tanto che nel bilancio del 2011 di Biis la Cremona-Mantova non fu nemmeno citata.
Intanto molti comuni, prima favorevoli, stanno tornando sui propri passi.
Restano irrisolti i problemi finanziari. L’opera compare sul sito di Biis (Intesa Sanpaolo), che si assunse il compito di trovare sul mercato finanziamenti per 430 milioni di euro. Si tratta di un vecchio impegno che non ebbe mai seguito, tanto che nel bilancio del 2011 di Biis la Cremona-Mantova non fu nemmeno citata.
Rho-Monza
Come si legge sul sito della Provincia di Milano, la Strada Provinciale 46 Rho-Monza sarà trasformata in una superstrada con caratteristiche autostradali: il progetto preliminare è stato consegnato ad Anas, i lavori partiranno a metà 2012 e si concluderanno entro fine 2014. Il nuovo percorso di 9,2 km consentirà il passaggio diretto tra Tangenziale Est e Tangenziale Ovest e l’ Autostrada dei Laghi (A/8 e A/9).
In dettaglio, il nuovo itinerario a Paderno si sovrapporrà (con un nuovo ponte ad Arco) e affiancherà la Milano-Meda, supererà il fiume Seveso e la linea ferroviaria Milano-Como, per arrivare a collegarsi alla provinciale Rho-Monza. Di qui il tracciato correrà lungo la provinciale, che verrà riqualificata con interventi che adegueranno le attuali due corsie per senso di marcia alle caratteristiche autostradali. Verrà inoltre realizzata una variante a sud dell’attuale percorso, per allontanare l’opera dall’area abitata. A Baranzate, dove l’attuale provinciale si restringe ad una corsia per senso di marcia, il nuovo tracciato autostradale, realizzato a cura di Autostrade per l’Italia, proseguirà a Nord del centro abitato con una serie di gallerie artificiali e svincoli, per raccordarsi direttamente con il nuovo svincolo “Fiera” sull’autostrada A8 “dei Laghi”.
L’intervento costerà complessivamente 288 milioni di euro e sarà coperto per 217 milioni da Serravalle e per 71 da Autostrade per l’Italia, che realizzerà la tratta compresa fra la ferrovia Milano-Varese e la connessione con la fiera di Rho-Pero.
Il progetto esecutivo è attualmente in fase di Valutazione di impatto ambientale. Intanto il 31 maggio 2012 un’associazione temporanea di imprese (Ati) guidata dalla Grandi Lavori Fincosit spa si aggiudicò l’assegnazione provvisoria dei lavori, presentando il progetto esecutivo più vantaggioso.
Il 30 ottobre 2012 tre associazioni – Comitato cittadini per l’interramento della Rho Monza, Legambiente Paderni Dugnano e Associazione amici parco del Grugnotorto – inviarono le proprie osservazioni progetto preliminare al Ministero dell’ambiente. Spiegano nel documento: “La principale criticità di questo progetto, certo non l’unica, è rappresentata dall’infrastruttura prevista per il collegamento tra la tangenziale nord (A52) e la Rho-Monza (SP46). Il Comune interessato all’opera è il Comune di Paderno Dugnano. La connessione viabilistica tra le due strade avverrà con la realizzazione di un nuovo tratto di tangenziale, al momento inesistente, che prevede due corsie per senso di marcia ed una corsia di emergenza per un totale di 6 corsie. Questo nuovo tratto sarà affiancato all’attuale Milano-Meda, per la quale è previsto un potenziamento dalle attuali due corsie per senso di marcia, a tre corsie più emergenza, per un totale di 8 corsie. Se a questo aggiungiamo la realizzazione di complanari per la circolazione locale, si possono contare un totale di 14 corsie autostradali + 4 corsie complanari, il tutto inserito in un territorio densamente popolato indubbiamente inidoneo ad ospitare un’infrastruttura di queste dimensioni”.
Secondo le tre associazioni dunque il progetto “1) non risolve la preoccupazione assoluta sulla qualità dell’aria (la stima di transito è di 200.000/220.000 veicoli/giorno, nello stesso spazio fisico attuale ove ne transitano circa 80.000); 2) la preoccupazione altrettanto grave per l’aumento dell’inquinamento acustico; 3) la preoccupazione sulla sicurezza (non) offerta a chi risiederà a dieci metri del tracciato autostradale, dove la velocità di transito sul progetto è 120 Km/h; determina: 4) erosione sensibile, di territorio a verde; 5) significativa riduzione del parco del Seveso; 6) impatto visivo e architettonico delle nuove infrastrutture; provoca 7) peggioramento dell’ambiente e del tessuto sociale; 8) perdita consistente di valore delle case dei residenti”.
Come si legge sul sito della Provincia di Milano, la Strada Provinciale 46 Rho-Monza sarà trasformata in una superstrada con caratteristiche autostradali: il progetto preliminare è stato consegnato ad Anas, i lavori partiranno a metà 2012 e si concluderanno entro fine 2014. Il nuovo percorso di 9,2 km consentirà il passaggio diretto tra Tangenziale Est e Tangenziale Ovest e l’ Autostrada dei Laghi (A/8 e A/9).
In dettaglio, il nuovo itinerario a Paderno si sovrapporrà (con un nuovo ponte ad Arco) e affiancherà la Milano-Meda, supererà il fiume Seveso e la linea ferroviaria Milano-Como, per arrivare a collegarsi alla provinciale Rho-Monza. Di qui il tracciato correrà lungo la provinciale, che verrà riqualificata con interventi che adegueranno le attuali due corsie per senso di marcia alle caratteristiche autostradali. Verrà inoltre realizzata una variante a sud dell’attuale percorso, per allontanare l’opera dall’area abitata. A Baranzate, dove l’attuale provinciale si restringe ad una corsia per senso di marcia, il nuovo tracciato autostradale, realizzato a cura di Autostrade per l’Italia, proseguirà a Nord del centro abitato con una serie di gallerie artificiali e svincoli, per raccordarsi direttamente con il nuovo svincolo “Fiera” sull’autostrada A8 “dei Laghi”.
L’intervento costerà complessivamente 288 milioni di euro e sarà coperto per 217 milioni da Serravalle e per 71 da Autostrade per l’Italia, che realizzerà la tratta compresa fra la ferrovia Milano-Varese e la connessione con la fiera di Rho-Pero.
Il progetto esecutivo è attualmente in fase di Valutazione di impatto ambientale. Intanto il 31 maggio 2012 un’associazione temporanea di imprese (Ati) guidata dalla Grandi Lavori Fincosit spa si aggiudicò l’assegnazione provvisoria dei lavori, presentando il progetto esecutivo più vantaggioso.
Il 30 ottobre 2012 tre associazioni – Comitato cittadini per l’interramento della Rho Monza, Legambiente Paderni Dugnano e Associazione amici parco del Grugnotorto – inviarono le proprie osservazioni progetto preliminare al Ministero dell’ambiente. Spiegano nel documento: “La principale criticità di questo progetto, certo non l’unica, è rappresentata dall’infrastruttura prevista per il collegamento tra la tangenziale nord (A52) e la Rho-Monza (SP46). Il Comune interessato all’opera è il Comune di Paderno Dugnano. La connessione viabilistica tra le due strade avverrà con la realizzazione di un nuovo tratto di tangenziale, al momento inesistente, che prevede due corsie per senso di marcia ed una corsia di emergenza per un totale di 6 corsie. Questo nuovo tratto sarà affiancato all’attuale Milano-Meda, per la quale è previsto un potenziamento dalle attuali due corsie per senso di marcia, a tre corsie più emergenza, per un totale di 8 corsie. Se a questo aggiungiamo la realizzazione di complanari per la circolazione locale, si possono contare un totale di 14 corsie autostradali + 4 corsie complanari, il tutto inserito in un territorio densamente popolato indubbiamente inidoneo ad ospitare un’infrastruttura di queste dimensioni”.
Secondo le tre associazioni dunque il progetto “1) non risolve la preoccupazione assoluta sulla qualità dell’aria (la stima di transito è di 200.000/220.000 veicoli/giorno, nello stesso spazio fisico attuale ove ne transitano circa 80.000); 2) la preoccupazione altrettanto grave per l’aumento dell’inquinamento acustico; 3) la preoccupazione sulla sicurezza (non) offerta a chi risiederà a dieci metri del tracciato autostradale, dove la velocità di transito sul progetto è 120 Km/h; determina: 4) erosione sensibile, di territorio a verde; 5) significativa riduzione del parco del Seveso; 6) impatto visivo e architettonico delle nuove infrastrutture; provoca 7) peggioramento dell’ambiente e del tessuto sociale; 8) perdita consistente di valore delle case dei residenti”.
Superstrada Boffalora-Tangenziale Ovest (Baggio)
Tecnicamente è il collegamento tra la SS 11 “Padana Superiore” a Magenta (via Novara) e la Tangenziale Ovest di Milano”. Il committente è la S.E.A. (società Esercizi Aeroportuali) che fa capo al Comune di Milano e il concessionario responsabile del progetto e della costruzione è l’Anas. Dopo diversi rimpalli e proroghe avrebbe dovuto arrivare il via libera del Cipe al progetto definitivo nella riunione del 5 novembre 2009, ma anche in quell’occasione venne rimandata la decisione, forse per mancanza di soldi o forse per l’allargamento del fronte contrario all’opera, che vedeva ogni anno aggiungersi nuovi comuni. Parliamo di un’arteria di 20 km con un costo stimato di 420 milioni di euro, di cui 281 pubblici (per ora solo sulla carta). Raccontano i Comitati No Tangenziale: “Nel febbraio 2003 è stato siglato in Regione Lombardia il Documento di indirizzo sull’adeguamento viario della zona sud-ovest di Milano. Con il voto contrario dei Comuni di Cassinetta di Lugagnano, Albairate, Cisliano e quello favorevole dei Comuni di Abbiategrasso, Magenta, Robecco S/N, Cusago, Vigevano, Milano, Regione Lombardia, Provincia di Milano e Parco del Ticino, è stato confermato il progetto preliminare del tratto autostradale che riguarda il nostro territorio”. Poi nei primi mesi del 2009 passarono al fronte del no i comuni di Cusago, Ozzero e Boffalora Ticino.
Spiegano ancora i comitati: “Nelle note relative alle questioni di fattibilità dell’opera non vengono presi in considerazione i carichi di traffico, i gravi danni che l’infrastruttura causerà al sistema paesistico-ambientale, il gravissimo impatto sociale, mentre non vengono nemmeno considerate le alternative di impatto minore che pure erano state proposte (studi del Laboratorio di Rosate – Laboratorio sperimentale di ricerca e studio del territorio del Politecnico di Milano).
I carichi di traffico sul nuovo collegamento sono stati stimati utilizzando dati e metodologie fortemente inadeguate quando non improprie. Tali stime non hanno in particolare considerato né la stasi dei flussi diretti su Milano, ormai non solo programmatica ma anche fattuale, né l’effetto delle politiche previste di sviluppo del sistema di trasporto pubblico, in particolare su ferro, né tutti i nuovi interventi viabilistici previsti nell’area e concorrenti con l’opera”.
“Lungo tutto il tracciato da Boffalora a Milano la componente agricola conserva ancora le caratteristiche tipiche del paesaggio rurale e rimane come ultimo presidio a difesa dell’equilibrio ecosistemico del territorio interessato offrendo tra l’altro una varietà di situazioni piuttosto rara, dai terrazzi fluviali del Ticino alla pianura irrigua sino al bosco planiziale di Cusago.
Tutto il tracciato interferisce con diversa rilevanza con un ganglio principale della rete ecologica compreso tra i comuni di Magenta, Robecco, Cassinetta di Lugagnano, Albairate, Cisliano, Gaggiano, Milano, Settimo, Cornaredo, Bareggio, Vittuone, Corbetta, con al centro la riserva naturale del fontanile Nuovo.
Si tratta pertanto di un progetto che causa innanzitutto un consumo ulteriore e inutile di un pregiatissimo suolo a vocazione agricola, che tra l’altro origina interferenze irreversibili in un reticolo di acque superficiali consolidato da secoli di utilizzi di grande utilità sociale ed economica”.
Tecnicamente è il collegamento tra la SS 11 “Padana Superiore” a Magenta (via Novara) e la Tangenziale Ovest di Milano”. Il committente è la S.E.A. (società Esercizi Aeroportuali) che fa capo al Comune di Milano e il concessionario responsabile del progetto e della costruzione è l’Anas. Dopo diversi rimpalli e proroghe avrebbe dovuto arrivare il via libera del Cipe al progetto definitivo nella riunione del 5 novembre 2009, ma anche in quell’occasione venne rimandata la decisione, forse per mancanza di soldi o forse per l’allargamento del fronte contrario all’opera, che vedeva ogni anno aggiungersi nuovi comuni. Parliamo di un’arteria di 20 km con un costo stimato di 420 milioni di euro, di cui 281 pubblici (per ora solo sulla carta). Raccontano i Comitati No Tangenziale: “Nel febbraio 2003 è stato siglato in Regione Lombardia il Documento di indirizzo sull’adeguamento viario della zona sud-ovest di Milano. Con il voto contrario dei Comuni di Cassinetta di Lugagnano, Albairate, Cisliano e quello favorevole dei Comuni di Abbiategrasso, Magenta, Robecco S/N, Cusago, Vigevano, Milano, Regione Lombardia, Provincia di Milano e Parco del Ticino, è stato confermato il progetto preliminare del tratto autostradale che riguarda il nostro territorio”. Poi nei primi mesi del 2009 passarono al fronte del no i comuni di Cusago, Ozzero e Boffalora Ticino.
Spiegano ancora i comitati: “Nelle note relative alle questioni di fattibilità dell’opera non vengono presi in considerazione i carichi di traffico, i gravi danni che l’infrastruttura causerà al sistema paesistico-ambientale, il gravissimo impatto sociale, mentre non vengono nemmeno considerate le alternative di impatto minore che pure erano state proposte (studi del Laboratorio di Rosate – Laboratorio sperimentale di ricerca e studio del territorio del Politecnico di Milano).
I carichi di traffico sul nuovo collegamento sono stati stimati utilizzando dati e metodologie fortemente inadeguate quando non improprie. Tali stime non hanno in particolare considerato né la stasi dei flussi diretti su Milano, ormai non solo programmatica ma anche fattuale, né l’effetto delle politiche previste di sviluppo del sistema di trasporto pubblico, in particolare su ferro, né tutti i nuovi interventi viabilistici previsti nell’area e concorrenti con l’opera”.
“Lungo tutto il tracciato da Boffalora a Milano la componente agricola conserva ancora le caratteristiche tipiche del paesaggio rurale e rimane come ultimo presidio a difesa dell’equilibrio ecosistemico del territorio interessato offrendo tra l’altro una varietà di situazioni piuttosto rara, dai terrazzi fluviali del Ticino alla pianura irrigua sino al bosco planiziale di Cusago.
Tutto il tracciato interferisce con diversa rilevanza con un ganglio principale della rete ecologica compreso tra i comuni di Magenta, Robecco, Cassinetta di Lugagnano, Albairate, Cisliano, Gaggiano, Milano, Settimo, Cornaredo, Bareggio, Vittuone, Corbetta, con al centro la riserva naturale del fontanile Nuovo.
Si tratta pertanto di un progetto che causa innanzitutto un consumo ulteriore e inutile di un pregiatissimo suolo a vocazione agricola, che tra l’altro origina interferenze irreversibili in un reticolo di acque superficiali consolidato da secoli di utilizzi di grande utilità sociale ed economica”.
Autostrada della Valtrompia
Per 35 km e 700 milioni di euro di costo, l’autostrada della Valtrompia punta a collegare la A4 alla Valtrompia, sulla base di una stima di traffico in valle rivelatasi palesemente errata. Lo spiega Legambiente Brescia: “le previsioni sullo sviluppo del traffico su gomma elaborate nel Progetto Generale dell’autostrada Valtrompia prevedevano nell’anno 2006 (anno previsto di entrata in esercizio dell’infrastruttura) un traffico vallivo di 52.000 veicoli/giorno. In realtà le rilevazioni sul traffico attuate in questi anni hanno portato alle seguenti conclusioni.
È calato il traffico pesante in conseguenza della spietata concorrenza orientale sui prodotti tipici locali (rubinetterie, casalinghi e valvolame), mentre risulta stabile il traffico leggero. Complessivamente il numero dei veicoli che transitano nel fondovalle sono rimasti gli stessi dei rilievi del 1999, circa 31.000 veicoli giorno, ma con una significativa variazione. Il traffico dell’arteria di fondovalle, a seguito dell’entrata in esercizio del nuovo bypass stradale, è diminuito di circa 10.000 transiti giornalieri che si sono riversati sul nuovo bypass, rendendo scorrevole e non più congestionata la SP345. Rimane solo un breve tratto di circa 800 metri sul quale permane il traffico complessivo di 31.000 veicoli/giorno, che si è comunque fluidificato sia per la diminuzione del traffico pesante sia per le nuove opere di messa in sicurezza della sede stradale”.
Nel febbraio 2012 scadeva il termine di sette anni entro il quale l’Anas – concessionaria incaricata della costruzione – poteva emanare un nuovo decreto di esproprio delle aree interessate, dopo l’annullamento da parte del Consiglio di Stato del precedente decreto del 2010. Dunque a rigor di logica andrebbero rifatte tutte le procedure autorizzative, compresa la valutazione di impatto ambientale, la Conferenza dei servizi e la delibera Cipe.
Con grande sorpresa degli stessi sindaci, nel novembre 2012 arriva la notizia che l’Anas ha affidato l’appalto dei lavori per la costruzione del primo tratto. Lo riporta un articolo di Bresciaoggi del 24 novembre scorso.
Per 35 km e 700 milioni di euro di costo, l’autostrada della Valtrompia punta a collegare la A4 alla Valtrompia, sulla base di una stima di traffico in valle rivelatasi palesemente errata. Lo spiega Legambiente Brescia: “le previsioni sullo sviluppo del traffico su gomma elaborate nel Progetto Generale dell’autostrada Valtrompia prevedevano nell’anno 2006 (anno previsto di entrata in esercizio dell’infrastruttura) un traffico vallivo di 52.000 veicoli/giorno. In realtà le rilevazioni sul traffico attuate in questi anni hanno portato alle seguenti conclusioni.
È calato il traffico pesante in conseguenza della spietata concorrenza orientale sui prodotti tipici locali (rubinetterie, casalinghi e valvolame), mentre risulta stabile il traffico leggero. Complessivamente il numero dei veicoli che transitano nel fondovalle sono rimasti gli stessi dei rilievi del 1999, circa 31.000 veicoli giorno, ma con una significativa variazione. Il traffico dell’arteria di fondovalle, a seguito dell’entrata in esercizio del nuovo bypass stradale, è diminuito di circa 10.000 transiti giornalieri che si sono riversati sul nuovo bypass, rendendo scorrevole e non più congestionata la SP345. Rimane solo un breve tratto di circa 800 metri sul quale permane il traffico complessivo di 31.000 veicoli/giorno, che si è comunque fluidificato sia per la diminuzione del traffico pesante sia per le nuove opere di messa in sicurezza della sede stradale”.
Nel febbraio 2012 scadeva il termine di sette anni entro il quale l’Anas – concessionaria incaricata della costruzione – poteva emanare un nuovo decreto di esproprio delle aree interessate, dopo l’annullamento da parte del Consiglio di Stato del precedente decreto del 2010. Dunque a rigor di logica andrebbero rifatte tutte le procedure autorizzative, compresa la valutazione di impatto ambientale, la Conferenza dei servizi e la delibera Cipe.
Con grande sorpresa degli stessi sindaci, nel novembre 2012 arriva la notizia che l’Anas ha affidato l’appalto dei lavori per la costruzione del primo tratto. Lo riporta un articolo di Bresciaoggi del 24 novembre scorso.
È come costruire un’abitazione partendo dal tetto. Sarebbe questa la
metafora più efficace se si volesse sublimare lo stato d’animo degli
amministratori del comprensorio valligiano alla notizia che l’Anas ha
affidato l’appalto dei lavori per la costruzione del primo tratto
dell’autostrada della Valtrompia. Non tanto e non solo perchè di fronte
ai ripetuti ritardi, lo scetticismo sulla maxi opera infrastrutturale si
è ormai sedimentato. La perplessità dei sindaci dei Comuni coinvolti
dal tracciato riguarda semmai la scansione dell’iter: come è stato
possibile – si chiedono – affidare i lavori del primo tratto
Concesio-Sarezzo quando sul tavolo restano ancora irrisolti nodi
fondamentali come quello degli espropri delle aree? Ma al di là
dell’interrogativo, l’ottimismo verso il virtuale passo in avanti
compiuto da un’autostrada considerata strategica per lo sviluppo di
Valtrompia e Valgobbia, è già smorzato dall’ennesimo ricorso al Tar di
Brescia, questa volta presentato dalla Ergon Engineering che nella gara
era giunta prima ma poi, a causa di alcune controversie legate a vicende
societarie, è stata esclusa dall’Anas. La perplessità insomma regna
sovrana. «Non riesco a capire come possano aver appaltato l’opera visto
che non c’è ancora la disponibilità delle aree – afferma il sindaco di
Concesio Stefano Retali -. La sentenza del Consiglio di stato ha accolto
i ricorsi dei privati bloccando di fatto la procedura di acquisizione
coatta e annullando una parte della procedura. Sinceramente non vedo le
condizioni necessarie per avviare il progetto. Credo sia l’ennesima
puntata di una telenovela infinita che ogni tanto porta qualche colpo di
scena inaspettato. Attendo lumi dall’Anas ma resto scettico visto che
le comunicazioni su un tema di interesse comprensoriale sono sempre
state lacunose». Sulla stessa lunghezza d’onda di Retali, il sindaco di
Villa Carcina: «Sapevo che era in corso una pre-selezione fra le imprese
candidate – spiega Gianmaria Giraudini – ma ero all’oscuro della gara».
Anche il primo cittadino di Sarezzo credeva che la selezione delle
imprese fosse ancora in corso ma azzarda una spiegazione. «L’iter è
complesso – afferma Massimo Ottelli- ma in questa fase di scelta delle
imprese non è necessario avere la disponibilità delle aree».
Comunicazioni ufficiali non ce ne sono, ma con tutta probabilità
l’affidamento è stata espletato per rispettare i tempi tecnici. (Marco
Benasseni, Autostrada della Valtrompia: l’opera va, lo scetticismo
resta, Bresciaoggi.it, 24.11.2012)
Boffalora-Malpensa
18,6 km, 16 gallerie, due viadotti e otto svincoli. Sono i numeri della bretella Boffalora Malpensa della statale 336, costata 216 milioni di euro per collegare l’A4 all’altezza di Boffalora all’aeroporto di Malpensa.
L’intervento è previsto nell’ambito dell’Accordo Quadro per l’accessibilità a Malpensa, nell’Intesa Istituzionale di programma tra Stato e Regione Lombardia sottoscritta il 3 marzo 1999 dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Presidente della Giunta regionale. Lo stanziamento a carico dello Stato è di 180 milioni di euro, il resto è a carico della Regione Lombardia, in conformità al Piano Straordinario per lo Sviluppo delle Infrastrutture Lombarde 2003 – 2011.
L’inaugurazione avvenne il 30 marzo 2008, poco dopo che Alitalia tagliò i voli suscitando non poche preoccupazioni nei promotori. Anche in questo caso le stime di traffico si rivelarono presto sovradimensionate, tanto che un anno dopo la strada era percorsa da 10.000 veicoli al giorno contro una portata di 90mila. “Oggi la bretella Malpensa-Boffalora, che già è costata moltissimo, è del tutto sproporzionata rispetto alle esigenze – spiegò Dario Balotta al giornalista di Repubblica Stefano Rossi – ci passa un’ auto ogni tanto. Ricordo che il Malpensa-Express ha lo stesso problema: 54 treni al giorno che nemmeno nel periodo migliore sono andati oltre la metà dei seimila passeggeri previsti per convoglio. Con l’ aeroporto nelle condizioni che sappiamo, non possiamo lasciare 54 treni vuoti. Apriamoli ai pendolari riducendo il biglietto e aumentando le fermate”. (Stefano Rossi, Da Malpensa a Boffalora il deserto della bretella, La Repubblica 01.02.2009)
18,6 km, 16 gallerie, due viadotti e otto svincoli. Sono i numeri della bretella Boffalora Malpensa della statale 336, costata 216 milioni di euro per collegare l’A4 all’altezza di Boffalora all’aeroporto di Malpensa.
L’intervento è previsto nell’ambito dell’Accordo Quadro per l’accessibilità a Malpensa, nell’Intesa Istituzionale di programma tra Stato e Regione Lombardia sottoscritta il 3 marzo 1999 dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Presidente della Giunta regionale. Lo stanziamento a carico dello Stato è di 180 milioni di euro, il resto è a carico della Regione Lombardia, in conformità al Piano Straordinario per lo Sviluppo delle Infrastrutture Lombarde 2003 – 2011.
L’inaugurazione avvenne il 30 marzo 2008, poco dopo che Alitalia tagliò i voli suscitando non poche preoccupazioni nei promotori. Anche in questo caso le stime di traffico si rivelarono presto sovradimensionate, tanto che un anno dopo la strada era percorsa da 10.000 veicoli al giorno contro una portata di 90mila. “Oggi la bretella Malpensa-Boffalora, che già è costata moltissimo, è del tutto sproporzionata rispetto alle esigenze – spiegò Dario Balotta al giornalista di Repubblica Stefano Rossi – ci passa un’ auto ogni tanto. Ricordo che il Malpensa-Express ha lo stesso problema: 54 treni al giorno che nemmeno nel periodo migliore sono andati oltre la metà dei seimila passeggeri previsti per convoglio. Con l’ aeroporto nelle condizioni che sappiamo, non possiamo lasciare 54 treni vuoti. Apriamoli ai pendolari riducendo il biglietto e aumentando le fermate”. (Stefano Rossi, Da Malpensa a Boffalora il deserto della bretella, La Repubblica 01.02.2009)
Autostrada Varese-Como-Lecco
Il 15 novembre 2010 compare il primo studio di fattibilità della nuova autostrada Varese-Como-Lecco, predisposto dalle camere di commercio delle tre città e da Pedemontana Lombarda. Con molte foto e poche cifre lo studio illustra i tre lotti della nuova arteria, che si snoda per 29,3 km tra numerosi viadotti, gallerie e passaggi a raso, per un costo complessivo di circa 1,4 miliardi di euro (incluse le varianti), finanziato in project financing con un contributo regionale. Nel luglio 2011 arriva il via libera della regione Lombardia, che nel Dgr 1824 approva la convenzione con la controllata Infrastrutture Lombarde, incaricata di verificare lo studio di fattibilità del comitato promotore (formato da 23 associazioni imprenditoriali locali) e avviare tutte le procedure fino all’affidamento della gestione. L’opera tuttavia incontrò da subito l’opposizione di molti comuni interessati e la contrarietà dello stesso consiglio provinciale di Como, a maggioranza di centro destra, che si espresse prima con una delibera nel luglio 2010 e poi con il nuovo Piano di governo del territorio nel gennaio 2012. In quest’ultimo documento si legge che l’area interessata dall’autostrada è individuata come “ambito agricolo di interesse strategico” di rilevanza sovra comunale, che “verrebbe irrimediabilmente compromessa dall’attraversamento viabilistico”. Inoltre “si ritiene che l’intervento non sia compatibile con la conservazione delle rete ecologica, delle aree protette, degli ambiti destinati ad agricoltura di interesse strategico, de quadro paesaggistico esistente”. Al momento non esiste ancora un progetto preliminare e l’iter di approvazione è praticamente bloccato.
L’autostrada si sovrapporrebbe in alcuni punti – come nel tratto nel tratto da Albate-Acquanegra a Orsenigo – al secondo lotto della tangenziale di Como, prevista tra le opere connesse alla Pedemontana. Il lotto della tangenziale tuttavia non fu mai approvato dal Cipe poiché troppo costoso. Così nel 2009 arrivò dalla associazioni imprenditoriali la proposta della Va-Co-Lc, che in quanto opera autostradale si ripagherebbe con i pedaggi.
La nova arteria a 4 corsie, oltre ad attraversare zone di pregio ambientale come la brughiera tra Senna Comasco e Albese e il Parco della valle del Lambro, verrebbe calata in un’area già fortemente infrastrutturata, a metà tra la Pedemontana (15 km a sud) e il collegamento Grandate Varese (10 km a nord). Ricordiamo che la ferrovia Como-Lecco è quasi abbandonata e la linea Varese-Como è stata chiusa nel 1966 per mancanza di utenti.
Il 15 novembre 2010 compare il primo studio di fattibilità della nuova autostrada Varese-Como-Lecco, predisposto dalle camere di commercio delle tre città e da Pedemontana Lombarda. Con molte foto e poche cifre lo studio illustra i tre lotti della nuova arteria, che si snoda per 29,3 km tra numerosi viadotti, gallerie e passaggi a raso, per un costo complessivo di circa 1,4 miliardi di euro (incluse le varianti), finanziato in project financing con un contributo regionale. Nel luglio 2011 arriva il via libera della regione Lombardia, che nel Dgr 1824 approva la convenzione con la controllata Infrastrutture Lombarde, incaricata di verificare lo studio di fattibilità del comitato promotore (formato da 23 associazioni imprenditoriali locali) e avviare tutte le procedure fino all’affidamento della gestione. L’opera tuttavia incontrò da subito l’opposizione di molti comuni interessati e la contrarietà dello stesso consiglio provinciale di Como, a maggioranza di centro destra, che si espresse prima con una delibera nel luglio 2010 e poi con il nuovo Piano di governo del territorio nel gennaio 2012. In quest’ultimo documento si legge che l’area interessata dall’autostrada è individuata come “ambito agricolo di interesse strategico” di rilevanza sovra comunale, che “verrebbe irrimediabilmente compromessa dall’attraversamento viabilistico”. Inoltre “si ritiene che l’intervento non sia compatibile con la conservazione delle rete ecologica, delle aree protette, degli ambiti destinati ad agricoltura di interesse strategico, de quadro paesaggistico esistente”. Al momento non esiste ancora un progetto preliminare e l’iter di approvazione è praticamente bloccato.
L’autostrada si sovrapporrebbe in alcuni punti – come nel tratto nel tratto da Albate-Acquanegra a Orsenigo – al secondo lotto della tangenziale di Como, prevista tra le opere connesse alla Pedemontana. Il lotto della tangenziale tuttavia non fu mai approvato dal Cipe poiché troppo costoso. Così nel 2009 arrivò dalla associazioni imprenditoriali la proposta della Va-Co-Lc, che in quanto opera autostradale si ripagherebbe con i pedaggi.
La nova arteria a 4 corsie, oltre ad attraversare zone di pregio ambientale come la brughiera tra Senna Comasco e Albese e il Parco della valle del Lambro, verrebbe calata in un’area già fortemente infrastrutturata, a metà tra la Pedemontana (15 km a sud) e il collegamento Grandate Varese (10 km a nord). Ricordiamo che la ferrovia Como-Lecco è quasi abbandonata e la linea Varese-Como è stata chiusa nel 1966 per mancanza di utenti.
Ospitaletto-Montichiari (Corda Molle)
La cosiddetta Corda Molle unisce il casello di Ospitaletto sull’A4 all’aeroporto di Montichiari, in tutto 30 km di cui 17 di nuova costruzione. La gestione dell’infrastruttura è stata affidata alla società Centropadane, incaricata di adeguare il tratto Ospitaletto-Fenili Belasi allo standard autostradale e procedere alla costruzione del tratto mancante tra Fenili Belasi e l’aeroporto bresciano. Il costo complessivo del nuovo tratto autostradale – a pedaggio – è stato di 206 milioni di euro. la nuova infrastruttura intercetta il traffico di diverse arterie, tra cui la Padana superiore, la statale 235 di Orzinuovi e la A21 Brescia Piacenza, ma si propone anche di interconnettere in futuro le rete esistente con la Brebemi e la Valtrompia. Il tratto di nuova costruzione è stato aperto al traffico il 3 febbraio 2012 e il bilancio dei primi dieci mesi di attività è stato piuttosto deludente, come riporta un comunicato di Legambiente Lombardia del 31 gennaio 2013:
La cosiddetta Corda Molle unisce il casello di Ospitaletto sull’A4 all’aeroporto di Montichiari, in tutto 30 km di cui 17 di nuova costruzione. La gestione dell’infrastruttura è stata affidata alla società Centropadane, incaricata di adeguare il tratto Ospitaletto-Fenili Belasi allo standard autostradale e procedere alla costruzione del tratto mancante tra Fenili Belasi e l’aeroporto bresciano. Il costo complessivo del nuovo tratto autostradale – a pedaggio – è stato di 206 milioni di euro. la nuova infrastruttura intercetta il traffico di diverse arterie, tra cui la Padana superiore, la statale 235 di Orzinuovi e la A21 Brescia Piacenza, ma si propone anche di interconnettere in futuro le rete esistente con la Brebemi e la Valtrompia. Il tratto di nuova costruzione è stato aperto al traffico il 3 febbraio 2012 e il bilancio dei primi dieci mesi di attività è stato piuttosto deludente, come riporta un comunicato di Legambiente Lombardia del 31 gennaio 2013:
Solo 4500 veicoli al giorno nei due sensi di marcia: la tangenziale
sud di Brescia è praticamente deserta ed entra di diritto nel lungo e
triste elenco delle opere inutili del profondo nord. A 10 mesi dalla
inaugurazione della “corda molle”, così come viene chiamata questa
strada, Legambiente è andata direttamente a fare i conti in tasca alla
tangenziale e ha contato, uno per uno, il numero dei veicoli giornalieri
da cui viene percorsa. E dati alla mano, emerge che la strada ha un
coefficiente di utilizzazione solo del 5,6%, visto che la sua capacità
giornaliera è di 80mila veicoli.
“I risultati sono avvilenti – dichiara Dario Balotta, responsabile trasporti Legambiente Lombardia – se si pensa all’enorme spesa di 206 milioni per 17 km di lingua d’asfalto, realizzati sulla vecchia provinciale n.16, tra Azzano-Mella e Montichiari. Una spesa da capogiro, che non ha nessun riscontro in Europa”.
Trascorsi 10 mesi dalla “trionfale” inaugurazione, le cose, che aveva detto l’ex assessore Raffaele Cattaneo, non si sono avverate. La corda Molle non ha assorbito il traffico della A4, non ha decongestionato il nodo di Brescia e non ha velocizzato i flussi di lunga percorrenza est-ovest, visto che il traffico è prevalentemente locale. L’unica novità è stata quella che chi percorre la bretella, entrando o uscendo dal Casello di BS sud, deve pure pagare il pedaggio per il tratto locale.
“I risultati sono avvilenti – dichiara Dario Balotta, responsabile trasporti Legambiente Lombardia – se si pensa all’enorme spesa di 206 milioni per 17 km di lingua d’asfalto, realizzati sulla vecchia provinciale n.16, tra Azzano-Mella e Montichiari. Una spesa da capogiro, che non ha nessun riscontro in Europa”.
Trascorsi 10 mesi dalla “trionfale” inaugurazione, le cose, che aveva detto l’ex assessore Raffaele Cattaneo, non si sono avverate. La corda Molle non ha assorbito il traffico della A4, non ha decongestionato il nodo di Brescia e non ha velocizzato i flussi di lunga percorrenza est-ovest, visto che il traffico è prevalentemente locale. L’unica novità è stata quella che chi percorre la bretella, entrando o uscendo dal Casello di BS sud, deve pure pagare il pedaggio per il tratto locale.
Aeroporto di Montichiari (Bs)
“Sognare, si dice, non costa nulla. Ma ci sono sogni che non rispettano la regola, e l’aeroporto di Montichiari rischia di essere questo: un’illusione costata ottanta milioni di euro. Pagati dai veronesi, dai trentini e dagli altri soci della Catullo spa che se fino all’altro ieri potevano sperare in un futuro migliore, nel rilancio del cargo, nella rivalutazione di un investimento fin qui sfortunato, da ieri sono autorizzati ad abbandonare anche la speranza. A mandare in fumo la prospettiva di un futuro migliore ci ha pensato il ministro dei Trasporti, Corrado Passera, che ieri ha divulgato l’Atto d’indirizzo del Piano per lo sviluppo aeroportuale. Il documento andrà discusso in Conferenza Stato-Regioni, e diventerà legge solo quando sarà adottato con un decreto del presidente della Repubblica, ma se la sua efficacia non è immediata, il senso del testo è invece chiaro: in Italia ci sono troppi aeroporti, d’ora in avanti sarà vietato costruirne di nuovi, gli investimenti vanno fatti solo su quelli importanti, e gli scali minori vengono affidati alle Regioni che decideranno in autonomia a chi assegnarli o se chiuderli. Brescia-Montichiari rientra in quest’ultima categoria: gli indirizzi del ministero dei Trasporti prevedono che la competenza sulla sua gestione passi alla Regione Lombardia, che dovrà decidere se concederlo a qualcuno oppure sopprimerlo”. Così iniziava un articolo del 30 gennaio 2013 comparso sul Corriere della Sera. (Davide Pyriochos, Catullo, Passera cestina Montichiari, Corriere del Veneto 30.01.2013)
Quello dell’aeroporto di Montichiari è un esempio eclatante di sperpero di denaro. Considerando anche le risorse per ripianare le perdite della società di gestione, l’infrastruttura è costata non meno di 160 milioni di euro ed ora non si sa più come uscirne riducendo al minimo i danni per la collettività. Nel 2011 la società di gestione, Catullo Spa, ha registrato perdite per 26 milioni, di cui 9 provenienti dall’aeroporto bresciano, che negli ultimi quattro anni ha accusato 7 milioni di perdite all’anno. (Aeroporto, Verona prova a bloccare Montichiari, L’Arena 29.01.2013, Maurizio Battista, Montichiari declassato, e ora il futuro si fa ancora più nero, L’Arena 22.09.2012)
“Sognare, si dice, non costa nulla. Ma ci sono sogni che non rispettano la regola, e l’aeroporto di Montichiari rischia di essere questo: un’illusione costata ottanta milioni di euro. Pagati dai veronesi, dai trentini e dagli altri soci della Catullo spa che se fino all’altro ieri potevano sperare in un futuro migliore, nel rilancio del cargo, nella rivalutazione di un investimento fin qui sfortunato, da ieri sono autorizzati ad abbandonare anche la speranza. A mandare in fumo la prospettiva di un futuro migliore ci ha pensato il ministro dei Trasporti, Corrado Passera, che ieri ha divulgato l’Atto d’indirizzo del Piano per lo sviluppo aeroportuale. Il documento andrà discusso in Conferenza Stato-Regioni, e diventerà legge solo quando sarà adottato con un decreto del presidente della Repubblica, ma se la sua efficacia non è immediata, il senso del testo è invece chiaro: in Italia ci sono troppi aeroporti, d’ora in avanti sarà vietato costruirne di nuovi, gli investimenti vanno fatti solo su quelli importanti, e gli scali minori vengono affidati alle Regioni che decideranno in autonomia a chi assegnarli o se chiuderli. Brescia-Montichiari rientra in quest’ultima categoria: gli indirizzi del ministero dei Trasporti prevedono che la competenza sulla sua gestione passi alla Regione Lombardia, che dovrà decidere se concederlo a qualcuno oppure sopprimerlo”. Così iniziava un articolo del 30 gennaio 2013 comparso sul Corriere della Sera. (Davide Pyriochos, Catullo, Passera cestina Montichiari, Corriere del Veneto 30.01.2013)
Quello dell’aeroporto di Montichiari è un esempio eclatante di sperpero di denaro. Considerando anche le risorse per ripianare le perdite della società di gestione, l’infrastruttura è costata non meno di 160 milioni di euro ed ora non si sa più come uscirne riducendo al minimo i danni per la collettività. Nel 2011 la società di gestione, Catullo Spa, ha registrato perdite per 26 milioni, di cui 9 provenienti dall’aeroporto bresciano, che negli ultimi quattro anni ha accusato 7 milioni di perdite all’anno. (Aeroporto, Verona prova a bloccare Montichiari, L’Arena 29.01.2013, Maurizio Battista, Montichiari declassato, e ora il futuro si fa ancora più nero, L’Arena 22.09.2012)
Il sistema portuale sul fiume Po
Se ne parla poco, ma il sistema di porti fluviali che si affacciano sul Po può essere annoverato a buon diritto tra gli sprechi frutto di scarsa programmazione e inadeguata tutele ambientale. Portiamo solo l’esempio del porto di Cremona, che si basa su una conca risalente agli anni 60 e su una relativa avanconca entrata in funzione nel 1981. La questione è drammaticamente semplice e riguarda il progressivo abbassamento dell’alveo del fiume, che rende inutilizzabile l’attuale conca per periodi sempre più lunghi. Oggi infatti il porto di Cremona è transitabile solo 150 giorni all’anno. Nel frattempo sono previste due nuove conche di navigazione, una a valle di Cremona (Conca di Valdaro) e una a monte (Conca di Isola Serafini) del valore complessivo di 70 milioni di euro, di fatto tagliando fuori a metà strada il porto di Cremona. La nuova conca di Valdaro collegherà direttamente le banchine del porto di Mantova al canale Mantova-Mare.
Siamo di fronte ad un’altra cattedrale nel deserto, di cui riportiamo qualche numero. Il porto di Cremona è costituito da una struttura artificiale di circa 300 ettari, aree di stoccaggio scoperte e pavimentate di 75.000 mq, doppio magazzino con struttura a sbalzo sull’acqua e superficie utile di stoccaggio di 900 mq e magazzino con ribalta utilizzabile da autocarri e da vagoni ferroviari con superficie utilizzabile di 750 m.
A pochi chilometri dal porto è oggi prevista la costruzione di un imponente polo industriale di rilevanza europea. La situazione e le prospettive del progetto sono descritte da Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori Comitati Cremonese, Cremasco, Casalasco. (Valerio Gamba, 12 giugno 2012)
Se ne parla poco, ma il sistema di porti fluviali che si affacciano sul Po può essere annoverato a buon diritto tra gli sprechi frutto di scarsa programmazione e inadeguata tutele ambientale. Portiamo solo l’esempio del porto di Cremona, che si basa su una conca risalente agli anni 60 e su una relativa avanconca entrata in funzione nel 1981. La questione è drammaticamente semplice e riguarda il progressivo abbassamento dell’alveo del fiume, che rende inutilizzabile l’attuale conca per periodi sempre più lunghi. Oggi infatti il porto di Cremona è transitabile solo 150 giorni all’anno. Nel frattempo sono previste due nuove conche di navigazione, una a valle di Cremona (Conca di Valdaro) e una a monte (Conca di Isola Serafini) del valore complessivo di 70 milioni di euro, di fatto tagliando fuori a metà strada il porto di Cremona. La nuova conca di Valdaro collegherà direttamente le banchine del porto di Mantova al canale Mantova-Mare.
Siamo di fronte ad un’altra cattedrale nel deserto, di cui riportiamo qualche numero. Il porto di Cremona è costituito da una struttura artificiale di circa 300 ettari, aree di stoccaggio scoperte e pavimentate di 75.000 mq, doppio magazzino con struttura a sbalzo sull’acqua e superficie utile di stoccaggio di 900 mq e magazzino con ribalta utilizzabile da autocarri e da vagoni ferroviari con superficie utilizzabile di 750 m.
A pochi chilometri dal porto è oggi prevista la costruzione di un imponente polo industriale di rilevanza europea. La situazione e le prospettive del progetto sono descritte da Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori Comitati Cremonese, Cremasco, Casalasco. (Valerio Gamba, 12 giugno 2012)
Un milione di metri quadrati di terreno agricolo destinati a
diventare un Polo Industriale Strategico di rilevanza europea. Questo è
il futuro di una vasta area in prossimità di Pizzighettone (Cremona). Il
protocollo d’intesa è stato sottoscritto alla fine di maggio tra il
Ministero per lo Sviluppo Economico, la Regione Lombardia, la Provincia
di Cremona, i comuni di Cremona e Pizzighettone, CGIL, CISL e UIL e le
principali associazioni industriali, artigianali ed agricole del
territorio. Una scelta che, come si legge nel documento, si pone
l’obiettivo di rilanciare l’economia e l’occupazione locale, nell’ottica
dell’intermodalità.
L’area interessata è infatti situata vicino al bacino posto alla fine del Canale Navigabile, un’opera che, negli intenti originari, doveva collegare il porto fluviale di Cremona con Milano, e che invece termina malinconicamente dopo una quindicina di chilometri, in piena campagna, poco prima di Pizzighettone.
Le acque torbide del canale hanno conosciuto il loro massimo momento di gloria nel 2008, quando hanno ospitato i mondiali di pesca sportiva. Percorrendo le sponde del canale si può immediatamente constatare lo stato di abbandono dell’infrastruttura, il cui recupero non può però prescindere da una regolarizzazione della navigabilità del fiume Po, ipotesi tuttora piena di incognite dal punto di vista degli investimenti economici necessari e dell’impatto ambientale.
La vicinanza della linea ferroviaria Cremona-Codogno, che dalla cittadina lodigiana prosegue nelle direzioni di Pavia e Milano, è considerata un ulteriore punto di forza del progetto di Polo Strategico. Questa linea, ad oggi ancora a binario unico, necessita però di un adeguamento, come possono confermare i tanti pendolari che dal Cremonese e dal Mantovano raggiungono quotidianamente il capoluogo lombardo, lamentando frequentissimi disagi. (…)
L’ipotesi di realizzare una così vasta urbanizzazione, scommettendo sull’insediamento di aziende che rilanceranno la stagnante economia cremonese ed incrementeranno il livello occupazionale (nettamente al di sotto della media regionale), appare troppo ottimistica, tenendo conto dell’attuale congiuntura economica a livello nazionale.
L’impressione infatti è che non sono le aree produttive a mancare sul nostro territorio. È sufficiente viaggiare per la nostra provincia per vedere aree dismesse e capannoni vuoti, in vendita, in affitto o abbandonati. A questi bisogna poi aggiungere le previsioni di espansione produttiva già presenti negli strumenti urbanistici dei vari comuni.
Questa situazione è senza dubbio l’eredità di una pianificazione del territorio poco coordinata a livello sovracomunale, ma è la realtà con cui dobbiamo fare i conti se vogliamo evitare un ulteriore spreco di territorio.
L’area interessata è infatti situata vicino al bacino posto alla fine del Canale Navigabile, un’opera che, negli intenti originari, doveva collegare il porto fluviale di Cremona con Milano, e che invece termina malinconicamente dopo una quindicina di chilometri, in piena campagna, poco prima di Pizzighettone.
Le acque torbide del canale hanno conosciuto il loro massimo momento di gloria nel 2008, quando hanno ospitato i mondiali di pesca sportiva. Percorrendo le sponde del canale si può immediatamente constatare lo stato di abbandono dell’infrastruttura, il cui recupero non può però prescindere da una regolarizzazione della navigabilità del fiume Po, ipotesi tuttora piena di incognite dal punto di vista degli investimenti economici necessari e dell’impatto ambientale.
La vicinanza della linea ferroviaria Cremona-Codogno, che dalla cittadina lodigiana prosegue nelle direzioni di Pavia e Milano, è considerata un ulteriore punto di forza del progetto di Polo Strategico. Questa linea, ad oggi ancora a binario unico, necessita però di un adeguamento, come possono confermare i tanti pendolari che dal Cremonese e dal Mantovano raggiungono quotidianamente il capoluogo lombardo, lamentando frequentissimi disagi. (…)
L’ipotesi di realizzare una così vasta urbanizzazione, scommettendo sull’insediamento di aziende che rilanceranno la stagnante economia cremonese ed incrementeranno il livello occupazionale (nettamente al di sotto della media regionale), appare troppo ottimistica, tenendo conto dell’attuale congiuntura economica a livello nazionale.
L’impressione infatti è che non sono le aree produttive a mancare sul nostro territorio. È sufficiente viaggiare per la nostra provincia per vedere aree dismesse e capannoni vuoti, in vendita, in affitto o abbandonati. A questi bisogna poi aggiungere le previsioni di espansione produttiva già presenti negli strumenti urbanistici dei vari comuni.
Questa situazione è senza dubbio l’eredità di una pianificazione del territorio poco coordinata a livello sovracomunale, ma è la realtà con cui dobbiamo fare i conti se vogliamo evitare un ulteriore spreco di territorio.
L’interporto di Segrate
I lavori per l’interporto di Segrate partirono nel 1991, dopo la firma dell’accordo di programma, ma l’infrastruttura entrò in funzione soltanto a partire dal 2002. L’accordo definitivo venne siglato nel dicembre 2000 sulla base di un grande progetto di riorganizzazione della viabilità locale e di interconnessione con le strade esistenti e quelle future, tra cui la Brebemi e la Teem. Partecipano alla firma i Comuni di Segrate, Pioltello e Milano, la Provincia di Milano, la Regione Lombardia, la società Serravalle, le Ferrovie dello Stato e il Ministero delle Finanze. Tra le opere connesse era previsto il collegamento con la Tangenziale Est di Milano da parte di Serravalle, non ancora realizzato. Per la connessione con la tangenziale Est, il completamento della viabilità nel territorio di Segrate e l’innesto con la Cassanese, a Pioltello, fu preventivato un costo di 130 miliardi di vecchie lire, 65 dei quali finanziati dalla Regione. Intanto erano già stati spesi 100 miliardi per la costruzione della dogana di Segrate negli anni 80 (in sostituzione di quella in via Valtellina a Milano), poi caduta quasi in disuso nel 1992 con l’apertura delle frontiere europee e confluita nell’interporto. Inoltre in un decreto del Ministero dei trasporti del 2 aprile 1992 compare uno stanziamento di 65 miliardi di lire per l’infrastruttura.
Il 4 luglio 2007 l’amministratore delegato di Serravalle Massimo Di Marco dichiarava a Repubblica: “A Segrate stiamo già facendo un investimento di 48 milioni di euro per collegare la tangenziale a Segrate, dove le Ferrovie dispongono di un’ area di un milione di metri quadri, più un altro milione di proprietà del ministero delle Finanze sull’ ex Dogana. I tempi di realizzazione di questo investimento sono di quattro – cinque anni, l’ intenzione è di creare una joint-venture con i privati che sono già gestori, per realizzare lì un centro di logistica che sarebbe il primo in Lombardia di queste dimensioni e coinvolgere la Liguria per trasferire le merci su rotaia”. (Luigi Pastore, Milano-Serravalle chiama Genova “Facciamo un interporto a Segrate”, La Repubblica 04.07.2007)
Proclami a parte, la situazione è tratteggiata ancora una volta dalla freddezza dei numeri. Nel 2008 secondo Rfi l’interporto registrava 100.000 unità movimentate nell’area smistamento, pari al 31% delle sue potenzialità. Il terminal è oggi gestito da Terminali Italia, società del gruppo Ferrovie dello Stato.
I lavori per l’interporto di Segrate partirono nel 1991, dopo la firma dell’accordo di programma, ma l’infrastruttura entrò in funzione soltanto a partire dal 2002. L’accordo definitivo venne siglato nel dicembre 2000 sulla base di un grande progetto di riorganizzazione della viabilità locale e di interconnessione con le strade esistenti e quelle future, tra cui la Brebemi e la Teem. Partecipano alla firma i Comuni di Segrate, Pioltello e Milano, la Provincia di Milano, la Regione Lombardia, la società Serravalle, le Ferrovie dello Stato e il Ministero delle Finanze. Tra le opere connesse era previsto il collegamento con la Tangenziale Est di Milano da parte di Serravalle, non ancora realizzato. Per la connessione con la tangenziale Est, il completamento della viabilità nel territorio di Segrate e l’innesto con la Cassanese, a Pioltello, fu preventivato un costo di 130 miliardi di vecchie lire, 65 dei quali finanziati dalla Regione. Intanto erano già stati spesi 100 miliardi per la costruzione della dogana di Segrate negli anni 80 (in sostituzione di quella in via Valtellina a Milano), poi caduta quasi in disuso nel 1992 con l’apertura delle frontiere europee e confluita nell’interporto. Inoltre in un decreto del Ministero dei trasporti del 2 aprile 1992 compare uno stanziamento di 65 miliardi di lire per l’infrastruttura.
Il 4 luglio 2007 l’amministratore delegato di Serravalle Massimo Di Marco dichiarava a Repubblica: “A Segrate stiamo già facendo un investimento di 48 milioni di euro per collegare la tangenziale a Segrate, dove le Ferrovie dispongono di un’ area di un milione di metri quadri, più un altro milione di proprietà del ministero delle Finanze sull’ ex Dogana. I tempi di realizzazione di questo investimento sono di quattro – cinque anni, l’ intenzione è di creare una joint-venture con i privati che sono già gestori, per realizzare lì un centro di logistica che sarebbe il primo in Lombardia di queste dimensioni e coinvolgere la Liguria per trasferire le merci su rotaia”. (Luigi Pastore, Milano-Serravalle chiama Genova “Facciamo un interporto a Segrate”, La Repubblica 04.07.2007)
Proclami a parte, la situazione è tratteggiata ancora una volta dalla freddezza dei numeri. Nel 2008 secondo Rfi l’interporto registrava 100.000 unità movimentate nell’area smistamento, pari al 31% delle sue potenzialità. Il terminal è oggi gestito da Terminali Italia, società del gruppo Ferrovie dello Stato.
Gli stoccaggi di gas metano
Nella regione sono presenti quattro impianti di stoccaggio di gas metano nel sottosuolo e altri sono in programmazione, tra le provincie di Milano, Bergamo, Lodi, Cremona e Brescia. In tutto parliamo di nove siti sulla spinta di grandi nomi del settore, che raddoppierebbero la disponibilità complessiva di metano nella regione, nonostante il calo della domanda e dei consumi. I potenziali rischi sono stati più volte segnalati dal Coordinamento comitati ambientalisti Lombardia, che nell’ottobre scorso hanno presentato un ricorso al Tar. Le principali criticità riguardano le emissioni di fumi, per l’utilizzo di motori a combustione necessari a spingere il gas nei serbatoi sotterranei, ma anche le fughe di gas e i rischi sismici. Questi ultimi sono legati sia alla sismicità naturale del terreno (alcune zone dove si collocano gli impianti sono a rischio sismico) e sia a quella indotta dall’attività di stoccaggio. I problemi sono stati sollevati anche da diversi documenti ministeriali e regionali, oltre che da autorevoli esperti. I cittadini dei comitati chiedono non solo di chiarire la strategicità di queste opere, ma anche di ridefinire l’attività alla luce dei rischi accertati, garantendo la più ampia informazione e partecipazione delle popolazione.
Tabelle tratte dal sito PerunaltraLombardia
E quindi, come dice lo striscione ............
Nella regione sono presenti quattro impianti di stoccaggio di gas metano nel sottosuolo e altri sono in programmazione, tra le provincie di Milano, Bergamo, Lodi, Cremona e Brescia. In tutto parliamo di nove siti sulla spinta di grandi nomi del settore, che raddoppierebbero la disponibilità complessiva di metano nella regione, nonostante il calo della domanda e dei consumi. I potenziali rischi sono stati più volte segnalati dal Coordinamento comitati ambientalisti Lombardia, che nell’ottobre scorso hanno presentato un ricorso al Tar. Le principali criticità riguardano le emissioni di fumi, per l’utilizzo di motori a combustione necessari a spingere il gas nei serbatoi sotterranei, ma anche le fughe di gas e i rischi sismici. Questi ultimi sono legati sia alla sismicità naturale del terreno (alcune zone dove si collocano gli impianti sono a rischio sismico) e sia a quella indotta dall’attività di stoccaggio. I problemi sono stati sollevati anche da diversi documenti ministeriali e regionali, oltre che da autorevoli esperti. I cittadini dei comitati chiedono non solo di chiarire la strategicità di queste opere, ma anche di ridefinire l’attività alla luce dei rischi accertati, garantendo la più ampia informazione e partecipazione delle popolazione.
Tabelle tratte dal sito PerunaltraLombardia
E quindi, come dice lo striscione ............
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