Anna Donati è persona competente che da anni si occupa di viabilità e tematiche ambientali. Con lei, come gruppi ambientalisti del territorio, abbiamo organizzato qualche anno fa anche un incontro pubblico raccontando dell'inutile e impattante autostrada Pedemontana.
Ci fa piacere dunque rilanciare questo suo articolo su "Sbilanciamoci" che riprende lo studio della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) che ha incrociato i dati sulle emissioni di PM10 e PM2,5 delle Agenzie Regionali per la protezione ambientale, con i casi di contagio riportati dalla Protezione Civile.
L'articolo con dati e riflessioni rende accessibile anche lo studio di SIMA.
Prendetevi del tempo, ora che ne abbiamo di più, e leggetelo tutto.
La pessima aria che alimenta il coronavirus
A livelli più alti di inquinamento atmosferico corrisponde una più larga diffusione del coronavirus: uno studio SIMA illustra l’ipotesi, dati sulla Pianura Padana alla mano. Ambiente e salute sono facce della stessa medaglia: un vero Green Deal per ripensare il nostro modello di sviluppo non è mai stato così urgente.
In
questi giorni di emergenza coronavirus la priorità è salvare le persone
contagiate in grave difficoltà respiratoria predisponendo strutture
sanitarie adeguate, tutelare i lavoratori del sistema sanitario e dei
servizi essenziali, mentre ognuno di noi restando a casa deve
contribuire a ridurre l’espandersi del contagio.
Seguendo
il dibattito pubblico e la comunicazione, molti esperti si interrogano
sul fenomeno, sulle cause scatenanti, emergono studi che parlano di
pandemia annunciata, di come la globalizzazione e il trasporto veloce di
lunga distanza abbiano accelerato il contagio globale, facendoci
trovare completamente impreparati. Si ragiona di nuovi farmaci e
vaccini, di ricerca e lavoro, del rapporto antropocentrico uomo e
animali da rivedere profondamente, sulla popolazione e il loro stato di
salute, sui tagli alla sanità che mostrano gli effetti nefasti sui
livelli di assistenza quando ben pochi tra istituzioni e politica si
sono opposti. Si ragiona anche sulle diseguaglianze che contagio,
assistenza, crisi economica e lavoro possono produrre ulteriormente sul
sistema italiano, già così fortemente diseguale.
E
si ragiona infine su come la riduzione della biodiversità e i mutamenti
climatici abbiano alterato gli equilibri sul pianeta terra ormai
abitato da 8 miliardi di persone, aumentando rischi e fragilità, come
ben motivato nel rapporto WWF Italia “Pandemia, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi”.
È
una dura lezione per tutti/e che costringe ad aggiornare l’agenda,
rivalutare il ruolo della sanità pubblica, ripensare alle politiche di
prevenzione per l’ambiente e la salute. Dove molte cose sul contagio
coronavirus sono ancora da studiare, comprendere e mettere in
correlazione per darci indicazioni motivate e rigorose sulle politiche
per il futuro.
Polveri sottili come tappeto volante per il coronavirus nella Pianura Padana?
Un Position Paper pubblicato in questi giorni dalla Società Italiana di Medicina Ambientale
(SIMA) redatto in collaborazione alle Università di Bari e di Bologna
(scaricabile alla fine di questo articolo), ha esaminato i dati sulle
emissioni di PM10 e PM2,5 delle Agenzie Regionali per la protezione
ambientale, incrociandoli con i casi di contagio riportati dalla
Protezione Civile. Il lavoro di ricerca – intitolato “Relazione circa
l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione
di virus nella popolazione” – è frutto di uno studio no-profit che vede
insieme ricercatori ed esperti provenienti da diversi gruppi di ricerca
italiani, ed è indirizzato in particolar modo ai decisori pubblici.
Lo
Studio parte dal richiamare diverse ricerche scientifiche che
descrivono il ruolo del particolato atmosferico come “carrier”, cioè
come vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e
biologici, inclusi i virus. Questa è una teoria generale piuttosto
consolidata per chi studia i problemi di emissioni inquinanti e qualità
dell’aria.
Nello Studio si legge: “Il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier,
costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere
nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o
giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico
dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature
e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di
inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più
elevato tasso diffusione del virus cioè di virulenza.”
Il
rapporto tra concentrazioni di particolato atmosferico e diffusione dei
virus era stato già indagato: nel 2010 si era visto che l’influenza
aviaria poteva essere veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste
asiatiche di polveri che trasportavano il virus. I ricercatori avevano
dimostrato che c’è una correlazione di tipo esponenziale tra le quantità
di casi di infezione e le concentrazioni di polveri sottili. Nel 2016
era stata osservata una relazione tra la diffusione del virus
respiratorio sinciziale umano nei bambini e le concentrazioni di
particolato. Questo virus causa polmoniti nei bambini e viene veicolato
attraverso il particolato in profondità nei polmoni e la velocità di
diffusione del contagio è correlata alla concentrazione di PM10 e PM2,5.
Sulla
base di questi studi pregressi i ricercatori italiani hanno esaminato i
dati delle centraline di rilevamento attive sul territorio nazionale,
registrando il numero di episodi di superamento dei limiti di legge del
PM10 (50 microg/m3 di concentrazione media giornaliera) nelle province
italiane. Parallelamente, sono stati analizzati i casi di contagio da
COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile. Dall’analisi è
emersa una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle
concentrazioni di PM10 registrati nel periodo tra il 10 e il 29 febbraio
e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 marzo,
considerando quindi il tempo di incubazione del virus fino alla
identificazione della infezione contratta dalle persone.
Secondo
il Position Paper, nella Pianura Padana si sono osservate le curve di
espansione dell’infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale, in
coincidenza, a distanza di due settimane, con le più elevate
concentrazioni di particolato atmosferico, che hanno esercitato
un’azione di “boost”, cioè di incremento alla diffusione virulenta
dell’epidemia. Secondo i ricercatori, quindi, “le alte concentrazioni di
polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura Padana hanno
prodotto un’accelerazione alla diffusione del Covid-19. L’effetto è più
evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai”.
Ma
sono gli stessi ricercatori, per voce del presidente della SIMA
Alessandro Miani, a sottolineare che “in attesa del consolidarsi di
evidenze a favore di questa ipotesi presentata nel nostro Position
Paper, in ogni caso la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere
considerata un possibile indicatore o ‘marker’ indiretto della
virulenza dell’epidemia da Covid-19. Inoltre, in base ai risultati dello
studio in corso l’attuale distanza considerata di sicurezza potrebbe
non essere sufficiente, soprattutto quando le concentrazioni di
particolato atmosferico sono elevate”.
Il
Position Paper chiude richiedendo alle istituzioni pubbliche misure
restrittive per il contenimento dell’inquinamento, come azione di
prevenzione a tutela della salute e dell’ambiente in cui viviamo.
Sembra
evidente che questa ipotesi di correlazione andrà approfondita ed
estesa sulla base di dati e indagini di lungo periodo, insieme a molte
altre ricerche che andranno svolte su quanto sta accadendo a livello
mondiale e locale con la pandemia da coronavirus, per fornire
motivazioni e soluzioni alla crisi che stiamo vivendo.
Di
certo già sappiamo che l’inquinamento dell’aria provoca numerosi morti
premature in Europa, molto spesso nell’indifferenza generale, in
particolare della comunicazione e delle istituzioni, come ci dice il “Rapporto sulla qualità dell’aria 2019” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.
Secondo il Rapporto, il particolato fine PM2,5 da solo ha causato circa
412.000 decessi prematuri di persone in 41 paesi europei nel 2016, di
cui circa 374.000 di questi decessi si sono verificati in Europa a 28.
L’Italia ha il valore più alto dell’Ue di decessi prematuri per biossido di azoto (NO2,
14.600 persone), seguita da Germania (11.900 persone) e Regno Unito
(11.800 persone). E il nostro paese è primo anche per le conseguenze da
esposizione all’ozono O3:
3.000 morti premature, contro 2.400 della Germania e 1.400 della
Francia. Mentre per il PM2,5 è secondo con 58.600 morti premature, dopo
la Germania che ne ha 59.600.
Rispetto
ai dati degli anni precedenti vi sono segni di miglioramento, ma siamo
ancora ben lontani da una tutela efficace della salute umana e questo ha
enormi conseguenze sulla vita e il benessere delle persone, sui costi
sociali, sanitari e ambientali di questo degrado.
Serve il Green Deal per sostenere lavoro e servizi
In
questi giorni di #iorestoacasa come misura fondamentale per prevenire
il contagio – che dobbiamo giustamente rispettare – il traffico
veicolare è diminuito, così come sono stati ridotti i treni, il
trasporto pubblico, il trasporto aereo e marittimo, e anche la mobilità a
piedi, in bicicletta e scooters delle persone.
Il trasporto delle merci su strada (tanto) e su ferrovia (poco) prosegue le sue attività, ma ancora non sono stati resi noti i dati dei flussi: certamente anche questi, a causa della chiusura di molte attività, avranno subito una contrazione.
Il trasporto delle merci su strada (tanto) e su ferrovia (poco) prosegue le sue attività, ma ancora non sono stati resi noti i dati dei flussi: certamente anche questi, a causa della chiusura di molte attività, avranno subito una contrazione.
Ne
consegue che, come abbiamo già visto in Cina, si riduce la congestione e
l’incidentalità stradale, la qualità dell’aria migliora e anche le
emissioni di C02 potrebbero momentaneamente ridursi. Già si affacciano i
primi studi che indicano come si sono ridotti i flussi di traffico e i
chilometri percorsi.
Voglio
sottolineare che mobilità sostenibile non equivale a “stare fermi”, ma a
muoversi con mezzi a basso o zero impatto, eliminando gli spostamenti
inutili e dando la preferenza a soluzioni smart. Camminare, usare la
bicicletta e la sharing mobility, utilizzare il treno, un autobus,
scooters, auto e micromobilità elettrica, usare un veicolo commerciale
elettrico per la consegna delle merci, affollare strade, piazze e spazi
pubblici, è la visione per la città del futuro.
Di questi tempi lo smart working
è diventato una realtà per lavorare da remoto per molti cittadini/e con
Skype, Zoom, MTeams e altre piattaforme che funzionano davvero. Una
soluzione innovativa che c’è da augurarsi prosegua anche dopo
l’emergenza, eliminando gli spostamenti inutili. Certo, anche qui è
apparso in tutta la sua evidenza il digital divide,
avere o non avere una connessione wifi e un computer a casa, saper
maneggiare le nuove tecnologie, avere l’alfabeto giusto per stare nella
rete e in collegamento con il mondo, misurare l’efficienza della
pubblica amministrazione e delle imprese. Basta guardare la giusta
protesta di piccoli comuni, comunità montane e aree interne scarsamente
connessi e quindi oggi in maggiore difficolta a garantire servizi e
coesione sociale per la popolazione.
Un altro effetto dell’emergenza coronavirus è la crescita dell’e-commerce e delle consegne a casa mediante furgoni e riders,
anche se da prime valutazioni sembrerebbe che non ci sia un boom delle
consegne in bicicletta a causa della chiusura di molte attività (anche
su questo vedremo i dati). Un sistema logistico per l’e-commerce che
stava già crescendo vistosamente e che adesso è esploso, tant’è che se
provate a ordinare online a Roma, in diverse catene di supermercati
propongono consegne dopo una decina di giorni (esperienza personale).
Del resto, per chi effettua le consegne in questo momento vi sono
condizioni ottimali, con le strade liberate dal traffico e tutte le
persone ferme a casa in attesa delle consegne – come mi ha fatto notare
con un po’ di ironia un esperto di logistica.
Se
in questo frangente è certamente una soluzione non dobbiamo dimenticare
che c’è un intero sistema logistico che ha bisogno di regole serie, per
imporre diritti dei lavoratori, per far pagare i costi esterni che
questo traffico genera con i suoi impatti ambientali e sociali (che ci
fanno credere siano gratis), per introdurre maggiore sicurezza e
utilizzare veicoli elettrici.
Avrete
anche notato che per rilanciare l’economia, causata dalla grave crisi
dell’emergenza coronavirus che sarà purtroppo pesante, si ripropongono
nel dibattito pubblico vecchie ricette che non hanno mai funzionato,
come grandi opere, commissari straordinari, sospensione del codice
appalti per fare presto. Misure che non hanno mai portato soluzioni
efficaci, in genere hanno aumentato il debito pubblico, limitato ricerca
e innovazione, quasi sempre portato a grandi inchieste della
magistratura per corruzione.
C’è
da augurarsi che questa non sia la strada che il Governo percorrerà nei
prossimi decreti e diventi invece una opportunità reale per cambiare
strada, anche snellendo le procedure se serve. È necessario puntare sui
lavori legati al Green Deal, l’economia circolare, le rinnovabili,
contro il dissesto e la rigenerazione del territorio, per la mobilità
sostenibile e la decarbonizzazione dei trasporti. Un piano per il
potenziamento di un efficace sistema sanitario pubblico, per potenziare
ricerca, formazione e sistema scolastico, per rigenerare le città,
riqualificare l’edilizia anche contro il pericolo sismico, per il
risanamento dei siti inquinanti e la riconversione e innovazione
industriale.
In
questi tempi di pandemia in molti dicono che niente sarà come prima. Ma
non diamo per scontato che possano emergere solo soluzioni smart,
innovative, eque e sostenibili, perché il vecchio e l’inerzia del
passato sono sempre in agguato. Quindi anche ora servono, idee
innovative, impegno e confronto pubblico per le scelte del nostro Paese.
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