Il governo ha deciso: il REFERENDUM CONTRO LE TRIVELLE si terrà il 17 di aprile.
Una manovra spudorata per cercare d'evitare che si raggiunga il quorum previsto (50%+1) perchè il referendum sia considerato
valido.
Con lo SBLOCCA ITALIA s'era garantita la possibilità di avviare ricerche petrolifere anche in zone ambientalmente sensibili, con tecniche invasive e sostituendo le vecchie fasi di prospezione, ricerca e
coltivazione con una concessione unica a carattere di
interesse strategico della durata di 30 anni, 10 in più rispetto alla
normativa precedente.
Successivamente, con articoli ad hoc nella Legge di Stabilità, il Governo ha cercato di "superare" la richiesta di referendum su parti dello Sblocca Italia avanzato da Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise e appoggiata da molti gruppi ambientalisti.
La Corte Costituzionale ha considerato ammissibile uno dei quesiti referendari proposti, quello che riguarda la durata delle autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate, mentre altri due quesiti sono oggetto di un ricorso dei proponenti.
Come fece Berlusconi nel 2011 con i referendum su nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento ora il Consiglio dei Ministri ha deciso di NON ACCORPARE il Referendum alle prossime elezioni amministrative.
Opzione che avrebbe consentito un risparmio di oltre 300 mln e la possibilità di una campagna d'informazione con tempi più lunghi e una maggiore partecipazione.
Ma si sa ormai da tempo, Renzi e il suo esecutivo sono poco inclini alla "democrazia partecipata" e molto attenti alle pressioni di chi vuole perpetuare politiche energetiche sempre basate sugli idrocarburi.
Trivelle, niente election day.
Il governo teme il quorum
Il caso. La
consultazione si terrà il 17 aprile. Gli ambientalisti si appellano a
Mattarella.
Il comitato No Triv: «Uno schiaffo alla democrazia e alle
casse dello stato: potevano essere risparmiati oltre 350 milioni»
Il governo fa ciò che ritiene più comodo: conferma il no
categorico all’election day. Il voto delle amministrative non sarà
accorpato a quello del referendum antitrivelle. Perché? Perché così è
facile che non si raggiunga il quorum e Renzi potrà cantare vittoria.
Bastava un decreto e, unendo le due consultazioni, si sarebbero
risparmiati tra i 350 e i 400 milioni.
Invece non ha prevalso il buon
senso. Né l’interesse pubblico. E il consiglio dei ministri ha fissato
la data del referendum al 17 aprile prossimo.
Ignorato il «suggerimento»
di associazioni e attivisti di chiamare alle urne gli italiani in un
unico giorno.
«Uno schiaffo alla democrazia — insorge il coordinamento
nazionale No Triv -.
È paradossale che nello stesso consiglio dei
ministri si sia deciso, per un verso, di bruciare 360 milioni di euro e,
per l’altro, di rinviare un provvedimento finalizzato all’erogazione di
un indennizzo in favore dei risparmiatori truffati da Banca Etruria,
per un importo pari a 200 milioni.
La campagna referendaria — prosegue —
si aprirà formalmente solo con il decreto di indizione del capo dello
Stato e solo a partire da quel momento i mezzi di comunicazione saranno
tenuti a concedere ai delegati regionali gli spazi previsti».
I No Triv si appellano, quindi, al presidente delle Repubblica, a cui
spetta l’atto ultimo di indizione del referendum, osservando che
l’election day «è assolutamente necessario al fine di risparmiare denaro
pubblico; che dinanzi alla Corte Costituzionale pendono ancora due
conflitti di attribuzione promossi dalle Regioni nei confronti del
Parlamento e dell’Ufficio Centrale per il Referendum (Cassazione).
Nel
caso l’esito del conflitto di attribuzione fosse positivo si dovrebbe
votare per altri due quesiti, che la Legge di stabilità non ha
soddisfatto: uno relativo al piano delle aree e l’altro alla durata dei
titoli minerari in terraferma.
Diversamente vorrebbe dire che nel 2016
gli italiani saranno chiamati alle urne ben cinque volte: per i due
referendum abrogativi (1+2), per le elezioni amministrative
(+ballottaggio) e per il referendum costituzionale».
«È una decisione scellerata — dice Greenpeace, che nei giorni scorsi
ha lanciato una petizione, che in breve ha raccolto 68 mila adesioni,
per chiedere l’accorpamento del referendum al primo turno delle
amministrative -.
Si tratta di una truffa pagata con i soldi dei
cittadini. Il premier sta giocando sporco: ha scelto di sperperare
centinaia di milioni per privilegiare i petrolieri. Un sondaggio
commissionato all’Istituto Ixè lo scorso dicembre evidenzia come solo il
18 per cento degli italiani sia favorevole alla strategia energetica
del Governo, mentre il 47 si dichiarava già sicuro di andare a votare
per esprimersi sull’avanzata delle trivelle». «Poco tempo per informare i
cittadini — denuncia il Prc -.
Tanto denaro sprecato per tenersi buone
le multinazionali», «Questa consultazione disturba», afferma Rosella
Muroni, presidente di Legambiente appellandosi al presidente della
Repubblica «affinché non firmi il decreto». «Evidentemente — fa presente
— l’esecutivo teme che gli italiani ne valutino fino in fondo la
portata e si dimostra riluttante ad affrontare seriamente e
democraticamente la questione».
«Il mancato accorpamento del voto — tuona Dante Caserta,
vicepresidente Wwf Italia — è una scelta insostenibile sia dal punto
della tutela ambientale, che da quello dei conti dello Stato.
Con 300
milioni di euro si potrebbe rendere più sicuro il nostro paese agendo
sul dissesto idrogeologico, si potrebbero disinquinare i nostri fiumi e i
tanti tratti di mare oggi non balneabili, si potrebbe potenziare il
trasporto pubblico e migliorare la vita e la salute di milioni di
pendolari, si potrebbe finanziare il sistema delle aree naturali
protette».
«Ecco il volto fossile del governo — è il commento dei
parlamentari M5S -.
È il tentativo di mettere i bastoni tra le ruote al
referendum, anche se è un quesito limitante e che non risolverà la
questione. Ma noi dobbiamo andare a votare ugualmente e votare sì».
Anche Sinistra italiana e Civati chiedono di ritirare sulla decisione:
«Facciamo appello agli ambientalisti del Pd e ai presidenti delle
regioni che hanno promosso il referendum. Li invitiamo a interloquire
con il Quirinale e chiedere se questa scelta di palazzo Chigi non miri a
due obiettivi: far saltare il quorum e mettere il governo al riparo da
una sconfitta sicura».
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