Tra le leggi riguardanti i DIRITTI CIVILI che risultano incagliate nei meandri delle attività di Camera e Senato, vi è quella riguardante l'acquisizione della CITTADINANZA ITALIANA per i figli degli immigrati, nati in gran parte nel nostro Paese.
Si tratta di circa un milione di giovani che ancora attendono di poter essere riconosciuti cittadini italiani con una legge più consona all'attuale realtà rispetto alla restrittiva normativa vigente (la 91 del 1992).
Il disegno di legge approvato dalla Camera il 13 ottrobre 2015 ha sostanzialmente introdotto nuovi criteri basati sullo "ius soli" e sullo "ius culturae" facilitando rispetto alla normativa vigente l'ottenumento della cittadinanza italiana.
Il disegno di legge è fermo al Senato per gli ostruzionismi della Lega, resistenze sotterrane e sottili ostilità e per una scarsa determinazione a chiudere l'iter legislativo.
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Quegli 800 mila giovani nati in Italia ma senza diritti
Di Luigi Manconi e Valentina Brinis
Ius soli. Una
legge ragionevolissima come quella sulla cittadinanza continua a
incontrare resistenze sotterranee, ostilità sottili, opposizioni sordide
o rifiuti melliflui.
La legislatura sta per compiere il suo quarto anno di vita e
sulla legge in materia di cittadinanza tutto tace, o quasi.
Il testo di
cui tanti chiedono la discussione, è stato licenziato dalla Camera il 13
ottobre 2015 e da quel momento è bloccato al Senato, alla Commissione
Affari costituzionali.
Ieri, , 28 febbraio, ancora una volta sono scese in piazza le persone
straniere e non, interessate all’argomento, e che da anni promuovono
manifestazioni, sit-in, flash mob; e inviano cartoline alle più alte
cariche dello Stato per chiedere che la riforma venga infine approvata.
Da quel mese di marzo del 2013 (inizio della Legislatura), sono stati
presentati alla Camera e al Senato diciotto disegni di legge di riforma
dell’attuale normativa, la 91 del 1992, perché non è più adeguata alla
società attuale e alla sua composizione. Quando era stata approvata, un
quarto di secolo fa, gli stranieri presenti in Italia non raggiungevano
il milione, cifra che oggi risulta quintuplicata.
La scarsa lungimiranza
di quella normativa consiste, tra l’altro, nell’aver sottovalutato il
ritmo di crescita della popolazione immigrata e il suo mutamento
interno. Se inizialmente gli stranieri presenti in Italia erano per lo
più uomini soli venuti per lavorare, con il passare degli anni questi
ultimi sono stati raggiunti dalle loro famiglie o, una famiglia, l’hanno
formata in Italia.
Sono nati dei figli che a loro volta hanno avuto dei
figli e si è posto un problema, tutt’ora irrisolto: come fare ad
accogliere questi nuovi residenti nella maniera più degna, tale da
riconoscere loro diritti e poter richiedere loro doveri? Come fare per
accoglierli a pieno titolo nel nostro sistema di cittadinanza? Come
ottenere che, a quel sentimento di appartenenza all’Italia presente in
tantissimi di loro, corrisponda un adeguato status giuridico?
La legge 91 del 1992 prevede solo un’esile possibilità di
riconoscimento dello ius soli.
Ovvero un brevissimo periodo di tempo
(appena dodici mesi dopo il compimento del diciottesimo anno di età) nel
quale è consentito presentare la domanda di cittadinanza. Ma anche
questa opportunità, in realtà, è precaria perché l’informazione relativa
è scarsamente diffusa e, in ogni caso, non è semplice accedervi.
Di
conseguenza, anche gli appena maggiorenni si troveranno a dover
osservare prescrizioni e condizioni del tutto simili a quelle richieste
agli adulti: la continuità della residenza anagrafica e del permesso di
soggiorno.
La riforma ora al Senato presenta un’importante novità: non solo la
cittadinanza sarà ottenibile in tempi molto più brevi di quelli attuali
ma la sua acquisizione potrà essere correlata alla frequentazione di un
percorso scolastico (cosiddetto ius culturae). E non è un elemento da
poco, se si considera l’elevato numero di studenti stranieri che
frequentano le scuole italiane.
L’impatto immediato della riforma sarebbe l’ottenimento della
cittadinanza da parte di quasi 800mila adolescenti nati o che hanno
intrapreso un percorso di studi in Italia.
Persone che attualmente sono
legate al permesso di soggiorno (di questi tempi è sinonimo di
precarietà), e che sono esclusi dai diritti previsti per i cittadini,
come quello di voto. Ovvero il diritto di scegliere da chi essere
governati.
Bisognerebbe chiedersi dunque a cosa condurrà la persistenza
di questa esclusione. E allora: quante sono le probabilità che questa
riforma della cittadinanza venga approvata? Difficile a dirsi.
Tutti i
provvedimenti che prevedono l’affermazione di nuovi diritti o la più
efficace tutela di quelli già riconosciuti non riscuotono oggi grandi
consensi all’interno della classe politica e delle aule parlamentari.
Siamo a pochissime ore dalla più acuta e drammatica divaricazione tra
sensibilità collettiva e decisione politica: è ciò che mostra lo scarto
enorme tra l’interesse e l’affetto suscitati dal suicidio assistito di
Fabiano Antoniani e il balbettare un po’ pavido di gran parte dei
rappresentanti delle istituzioni.
E così, una legge ragionevolissima, come quella sulla cittadinanza,
destinata al riconoscimento di diritti elementari e, in ultima istanza, a
elevare i livelli di sicurezza per tutti (proprio per tutti: italiani,
futuri italiani e non italiani), continua a incontrare resistenze
sotterranee, ostilità sottili, opposizioni sordide o rifiuti melliflui.
Sullo sfondo quella bonomìa xenofoba che fa tanto male senza darlo
troppo a vedere.
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