Dopo le assoluzioni dei dirigenti di Eternit per le morti da amianto, a Pescara vengono assolti gli ex dirigenti Montedison per la mega discarica di rifiuti tossici di Bussi che ha inquinato pure le falde che alimentavano gli acquedotti.
Anche per le vittime della fabbrica tessile della Marlane di Praia a Mare (107 morti) ancora non c'è giustizia.
Così in questo paese, dove ancora non esiste IL DELITTO AMBIENTALE, i responsabili restano quasi sempre impuniti perchè i reati loro contestati vanno in prescrizione o perchè i tempi lunghissimi delle inchieste e dei processi rendono difficilissima la ricerca della verità.
Eppure .... eppure, al Senato giace un disegno di legge, il n°1345, già approvato alla Camera che prevede 4 nuovi delitti ambientali PENALMENTE PERSEGUIBILI che, come sempre, è fortemente avversato dalle lobby di quegli industriali più retrivi, quelli che vogliono sempre rimanere impuniti.
Disastro Bussi senza colpevoli
Abruzzo.
Tutti assolti i vertici Montedison, gestori della discarica «più grande d’Europa» nei pressi del fiume Tirino e tra le più inquinate d’Italia. L'avvelenamento delle acque, dunque, non c'è e non c’è stato, anche se controlli e prelievi dimostrano altro. Sarebbero circa 700mila i cittadini della Val Pescara contaminati.
Tutti assolti i vertici Montedison, gestori della discarica «più grande d’Europa» nei pressi del fiume Tirino e tra le più inquinate d’Italia. L'avvelenamento delle acque, dunque, non c'è e non c’è stato, anche se controlli e prelievi dimostrano altro. Sarebbero circa 700mila i cittadini della Val Pescara contaminati.
Dal disastro ambientale a quello giudiziario. Tutti
assolti i vertici della Montedison finiti alla sbarra nel processo
per la megadiscarica di tossine di Bussi sul Tirino, paesello i cui
terreni sono stati riempiti di rifiuti tossici, inzeppati in un
deposito di 25 ettari scoperto nel 2007. Per la «più grande discarica
d’Europa», per una delle 37 aree più inquinate d’Italia, per una delle
emergenze ambientali più imponenti del Belpaese… nessun
colpevole. Questo ha sentenziato ieri pomeriggio la Corte
d’Assise di Chieti. Due i reati contestati: avvelenamento delle
acque e disastro ambientale. Il dispositivo a firma del presidente
Camillo Romandini recita: «Visti gli articoli 442 e 530 Cpp (Codice
di procedura penale), assolve gli imputati dal reato loro ascritto
‘avvelenamento acque’ perché il fatto non sussiste. Visti gli
articoli 521 e 531 Cpp previa derubricazione del reato contestato
B (disastro ambientale doloso) in quello di disastro colposo ex
art.449 Cp (Codice Penale, ndr) dichiara di non doversi procedere nei
confronti degli imputati per intervenuta prescrizione». Le
motivazioni verranno depositate entro 45 giorni. L’avvelenamento
delle acque, quindi, stando al verdetto emesso, non c’è e non c’è
stato, anche se controlli e prelievi dimostrano altro. Mentre il
disastro c’è, ma non è stato intenzionale, non è stato voluto, e,
siccome è passato tanto troppo tempo, nessuno pagherà, almeno
a livello penale, per esso. «Temevamo che finisse così — dicono alcuni
cittadini di Bussi -. Questo è il posto dei veleni e intorno ci
viviamo noi, che aspettiamo la bonifica. La paura è che non si venga
a capo di nulla, ora più che mai».
I pm — Giuseppe Bellelli e Anna Rita Mantini — avevano chiesto
condanne che andavano dai 12 anni e 8 mesi ai 4 anni. Gli imputati
erano 19, fra ex dirigenti e tecnici dell’allora colosso chimico
Montedison: Camillo Di Paolo, Maurilio Aguggia, Vincenzo
Santamato, Guido Angiolini, Carlo Cogliati, Nicola Sabatini,
Domenico Angelo Alleva, Nazzareno Santini, Luigi Guarracino,
Giancarlo Morelli, Giuseppe Quaglia, Carlo Vassallo, Luigi Furlani,
Alessandro Masotti, Bruno Parodi, Mauro Molinari, Leonardo
Capogrosso, Maurizio Piazzardi e Salvatore Boncoraglio. Erano
27 le parti civili costituite.
Per la Corte l’avvelenamento delle acque è, dunque, una favola.
Eppure una relazione recente dell’Istituto superiore di sanità
dichiara che i corsi d’acqua che costeggiano e corrono sotto le
discariche di Bussi potrebbero aver contaminato, nel tempo, e fino
al 2007, circa 700mila cittadini della Val Pescara. Semplicemente
bevendo l’acqua, utilizzandola in casa, negli ospedali, nelle
scuole. Ottantaquattro pagine che analizzano, scientificamente
la questione, a cominciare dalle 250 mila tonnellate di scorie
e scarti della produzione di cloro, soda, varechina, formaldeide,
percolati, cloruro di vinile, tricloroetilene e cloruro di
ammonio sepolti dalla multinazionale nel corso della propria
attività. Il danno ambientale stimato è di circa 8 miliardi e mezzo
mentre per la bonifica occorreranno da 600 — 800 milioni. L’elenco
dei veleni scovati è lungo… cloruro di vinile, tricloroetilene,
esacloroetano, tetracloruro di carbonio, cloroformio,
dicloroetilene: tutti cancerogeni. E ancora… l’esaclorobutadiene
(«cancerogeno e geno-tossico»), gli idrocarburi clorurati
(«cancerogeni») che superano talvolta migliaia di volte i limiti di
legge, soprattutto nei sondaggi e campionamenti delle acque in
profondità. E ancora piombo e mercurio, che hanno contaminato
«in maniera massiva il suolo».
«Il disastro ce l’abbiamo e ce lo teniamo -, afferma Augusto De
Sanctis, del Forum Acque Abruzzo -. Non ci sono colpevoli pur di
fronte all’acqua piena di sostanze dannose e a un disastro accertato.
Ci siamo scordati dei pozzi Sant’Angelo, quelli a valle della
megadiscarica, che furono chiusi nel 2007, dopo le nostre
battaglie, quelli che ancora oggi inquinano?».
«Mi auguro — dichiara Salvatore La Gatta, sindaco di Bussi — che
come per la vicenda dell’amianto cresca lo sdegno nella pubblica
opinione». Il primo cittadino rammenta anche che, davanti al
Consiglio di Stato, ad opera della Montedison, pende un ricorso
contro il ministero dell’Ambiente che, per via di una sentenza del
Tar, aveva obbligato l’azienda chimica ad avviare le operazioni di
bonifica del sito. Se ne discuterà il 4 gennaio. «Non vorrei che
questa sentenza — aggiunge La Gatta — possa in qualche modo pesare
sul Consiglio di Stato, aspettiamo fiduciosi».
«Il fatto che sia stato riconosciuto il disastro colposo —
interviene il presidente della Regione, Luciano D’Alfonso — ci
legittima ad attivare una causa per il risarcimento dei danni da
parte di chi ha ridotto le acque e le terre dell’Abruzzo in queste
condizioni».
«Da quanto accaduto in aula — dice l’avvocato Cristina Gerardis,
dell’avvocatura dello Stato e parte civile nel processo — posso
constatare che le acque sotterranee, le falde acquifere che
costituiscono una risorsa fondamentale per l’uomo, non sono oggetto
di tutela. Perplessità e un grande punto interrogativo ci sono
perché, studiando bene le carte, abbiamo potuto constatare la
gravità della situazione ambientale di quest’area, che ha bisogno di
un giusto ristoro».
Afferma invece l’avvocato della difesa Carlo Baccaredda:
«Esprimiamo grande soddisfazione. C’erano tante aspettative da
parte dell’opinione pubblica. È stata esclusa, dalla sentenza,
qualsiasi fattispecie di dolo».
Centosette morti alla Marlane, ma «il fatto non sussiste»
Calabria.
Sette dirigenti della famosa fabbrica tessile di Praia a Mare erano accusati di disastro ambientale, omicidio colposo plurimo e lesioni. Tra gli imputati principali il conte Marzotto. La difesa annuncia il ricorso in appello
Sette dirigenti della famosa fabbrica tessile di Praia a Mare erano accusati di disastro ambientale, omicidio colposo plurimo e lesioni. Tra gli imputati principali il conte Marzotto. La difesa annuncia il ricorso in appello
Manifestazione dei familiari delle vittime della Marlane |
A stabilirlo, dopo un lungo e tormentato dibattimento e una
camera di consiglio protrattasi fino a tarda sera, è stato il
tribunale di Paola che ieri ha assolto tutti gli imputati, tra cui il
dirigente di fabbrica nonché già sindaco di Praia a Mare, Carlo
Lomonaco. Assolto anche il padrone dell’azienda, il Conte Pietro
Marzotto.
Cadono dunque nel vuoto le denunce dei comitati ambientalisti
del Tirreno cosentino e dei familiari delle vittime, a lungo
ignorati dalle istituzioni preposte al controllo del territorio
e dai sindacati confederali. Il processo di primo grado non ha
accolto le richieste della pubblica accusa che aveva richiesto pene
pesanti per 7 dirigenti e per il titolare della fabbrica, imputati
a vario titolo dei reati di disastro ambientale, omicidio colposo
plurimo e lesioni gravissime.
Lacrime di rabbia, urla di indignazione hanno attraversato le strade di Paola subito dopo la lettura della sentenza.
Lunga e travagliata è stata la vicenda Marlane. Durante tutto il
processo, un presidio permanente ha stazionato nei pressi del
tribunale, denunciando a gran voce il rischio che un’eventuale
prescrizione ponesse gli imputati al riparo da possibili condanne.
La sentenza di ieri suona come un’ulteriore beffa per quanti hanno
perso la vita, la salute, gli affetti.
Un anno fa Eni-Marzotto aveva raggiunto un accordo con i familiari
degli operai deceduti, ottenendo la revoca delle costituzioni di
parti civili. Circa sette milioni di euro sarebbero stati versati
complessivamente ai congiunti delle vittime ed ai loro avvocati.
Ciascuna parte civile ha ricevuto una somma oscillante tra le 20mila
e le 30mila euro. Se sull’entità del risarcimento si raggiunse un
accordo, invece in merito alle responsabilità penali ovviamente il
procedimento è andato avanti, fino al verdetto di ieri. Per
conoscere nel dettaglio le motivazioni che hanno spinto la corte ad
assolvere gli imputati, bisognerà attendere il deposito della
sentenza. Nella requisitoria della pubblica accusa, l’arco delle
responsabilità si presentava ampio. A provocare danni
irreversibili alla salute umana ed all’ambiente, secondo il pm,
sarebbe stato l’uso di coloranti azoici nella fase di produzione. E,
ancora, l’amianto presente sui freni dei telai. Infine, da non
sottovalutare la questione del presunto sversamento delle
diverse tonnellate di rifiuti industriali mai smaltite, che a parere
della pubblica accusa sarebbero state seppellite impunemente
nella zona circostante, a poche decine di metri dal centro abitato
e da uno dei tratti balneari più rinomati della costa tirrenica
calabrese, di fronte alla meravigliosa isola di Dino.
La sentenza di ieri rappresenta una profonda delusione per
operai coraggiosissimi come Luigi Pacchiano ed Alberto Cunto, ma
soprattutto per gli attivisti della costa tirrenica cosentina.
Anzitutto lo scrittore Francesco Cirillo che a questa vicenda ha
dedicato accurate controinchieste, sfidando il clima di ostilità
che si scatena ogni qual volta qualcuno denunci l’impatto devastante
dell’industrializzazione nel sud Italia e in altre regioni del Paese.
Vanificato anche il ruolo della procura di Paola.
Negli uffici diretti dal procuratore Bruno Giordano, a partire
dalla seconda metà del decennio scorso, sono state avviate inchieste
giudiziarie importanti su reati ambientali di enorme gravità, come
quelle sulle navi dei veleni, la cementificazione dei corsi
d’acqua, il mancato smaltimento dei fanghi da depurazione,
l’inquinamento di un mare che di fatto oggi non è più balneabile per
decine di chilometri.
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