Pare ormai una costante :dove ci sono "grandi opere faraoniche", dove queste non sono condivise con il territorio ma spesso imposte, dove si usa la logica "dell'emergenza" per semplificare le procedure degli appalti, si sviluppa e fiorisce il malaffare, la malapolitica, la corruzione
C'è una TRASVERSALITA' d'appartenenza tra politici, ci sono imprese "d'area" e c'è il coinvolgimento di figure istituzionali che mostrano come la corruzione nel nostro paese sia pervasiva e diffusa.
Dopo EXPO ora tocca al MOSE di Venezia.
Avanti, c'è posto.
Da Il Manifesto del 5-06-014
STATE SERENISSIMI
Mose, il mostro della Laguna
Venezia. Crolla
la facciata del Veneto. Fondi neri, finanziamenti occulti, concussioni e
complicità, la grande opera di Venezia, la più costosa del Paese, è
marcia. Trentacinque gli arresti: ai domiciliari il sindaco Orsoni (Pd),
accusato di finanziamenti illeciti; chiesto l’arresto per l'ex
governatore, e deputato di FI, Galan
Come (e peggio) di vent’anni fa: un «sistema» parallelo alla
gestione del Mose, la Grande Opera per eccellenza. Trentacinque gli
arresti e un altro centinaio di indagati disposti ieri nell’elenco
firmato dai pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini.
Tra i nomi «eccellenti» spiccano quello del deputato di Forza Italia
Giancarlo Galan — ex governatore e ministro, attuale presidente
della Commissione Cultura della Camera per cui servirà
l’autorizzazione — e del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni (Pd)
ristretto ai domiciliari.
Ma
insieme ai politici è collassata l’architettura delle complicità:
manager, funzionari pubblici, professionisti, consulenti,
finanzieri, vecchi marpioni e nuovi faccendieri. La paratia mobile
della corruzione restituisce, per via giudiziaria, la certezza
di una vera cloaca dietro la facciata della «salvaguardia di
Venezia». Da sempre, lo sostenevano gli oppositori del
mega-appalto senza salvagente. Ora è di dominio pubblico, agli atti
della Procura della Repubblica.
Un anno dopo l’arresto di Piergiorgio Baita (il supermanager
Mantovani Spa) e Giovanni Mazzacurati (storico padre-padrone del
Consorzio Venezia Nuova), si completa l’indagine condotta dalla
Guardia di finanza con un malloppo di 711 pagine che certifica fondi
neri, finanziamenti occulti, concussioni e complicità.
Sequestrati beni per 40 milioni, scandagliate fatturazioni,
verificate società a San Marino e in Svizzera.
Crolla letteralmente la facciata del Veneto: il sindaco di
centrosinistra è accusato di aver preso contributi elettorali
per 560 mila euro; arrestati l’assessore regionale berlusconiano
Renato Chisso («stipendio annuale oscillante tra i 200 e i 250 mila
euro, dalla fine degli anni ‘90 sino ai primi mesi del 2013») e il
consigliere regionale Pd Giampietro Marchese (58 mila euro
illeciti per le Regionali 2010). Ai domiciliari Lia Sartori,
presidente uscente della Commissione industria dell’Europarlamento:
58 mila euro «in nero».
A
Galan viene contestata la ristrutturazione milionaria della
villa sui Colli Euganei, che secondo la Procura sarebbe frutto di un
giro di fatture false fra Tecnostudio e Mantovani Spa. Al «doge»
fondatore di Forza Italia viene contestato di aver ricevuto «per
tramite di Chisso, che a sua volta li riceveva direttamente da
Mazzacurati, uno stipendio annuale di circa 1 milione di euro, 900
mila euro tra il 2007 e il 2008 per il rilascio nell’adunanza della
commissione di salvaguardia del 20 gennaio 2004 del parere
favorevole e vincolante sul progetto definitivo del sistema Mose,
900 mila euro tra 2006 e 2007 per il rilascio (…) del parere
favorevole della Commissione Via della Regione sui progetti delle
scogliere alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia».
Senza dimenticare che la Procura ha appena trasmesso al
Tribunale dei ministri il fascicolo che riguarda Altero Matteoli,
senatore di Forza Italia. Secondo la deposizione di Mazzacurati,
si profilerebbe l’«induzione indebita» da parte dell’allora
ministro prima dell’ambiente e poi delle infrastrutture nei lavori di
bonifica a Porto Marghera.
Ma la lista degli arrestati è vertiginosa intorno al
«riciclaggio» di circa 25 milioni. Con tanto di «stipendio in nero»
per l’ex magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta: 400 mila euro
in un conto estero per ammorbidire i controlli (più l’assunzione
della figlia in una società controllata dal Consorzio). Stesso
atteggiamento nei confronti di Maria Giovanna Piva che lo rileva al
vertice dell’ente serenissimo.
Manette per Roberto Meneguzzo, fondatore e amministratore di Palladio Finanziaria a Vicenza (chiave di volta dei project financing ospedalieri):
nel 2011 aveva tentato di scalare Fonsai, proponendosi poi come
il Cuccia del Nord Est a cavallo fra sussidiarietà e grandi opere.
Non basta, perché l’inchiesta arriva a Padova e fa tremare mezza
città, alla vigilia del ballottaggio per l’elezione del sindaco. In
via Trieste ha sede anche lo studio del commercialista
Francesco Giordano, 69 anni, un passato a supporto del Psi e una
collezione di incarichi con la giunta Zanonato (dalla fusione
Magazzini-Interporto al ruolo di revisore dei conti nella
multiutility AcegasAps). In passaggio Corner Piscopia, a due
passi dalla Camera di commercio, ci sono gli uffici dell’altro
colletto bianco Paolo Venuti: siede nel cda del mercato
agri-alimentare (38% di quote del Comune) ed è stato presidente dei
revisori dei conti di Fiera di Padova Immobiliare Spa (che gestisce
il nuovo centro congressi). Venuti risulta socio della trust company Delta
Erre, sigla che compare puntuale nelle «operazioni strategiche»
di Veneto e Trentino. E vanta incarichi professionali in BH4 Spa,
Save, Adria Infrastrutture, Concessioni autostradali venete.
Infine, è imbarazzante l’arresto dell’architetto Danilo Turato che ha
progettato per Comuni e Università, oltre alla mancata nuova sede
dell’Arpav nella zona del Tribunale…
È un verminaio in cui rispunta Lino Brentan: uomo della Quercia,
ex amministratore delegato dell’Autostrada Padova-Venezia, già
condannato per tangenti nell’estate 2012. Ma nella lista compaiono
i nomi di Giuseppe Fasiol (braccio destro dell’ad di Veneto Strade,
Silvano Vernizzi) e Giovanni Artico, già commissario
straordinario per Porto Marghera. Arresti domiciliari per il
magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone. E ancora
Stefano Tomarelli del direttivo del Consorzio; Stefano Boscolo
detto Bacheto, titolare della Coop San Martino di Chioggia, Gianfranco Contadin detto Flavio,
direttore tecnico della Nuova Coedmar, e Federico Sutto del
Consorzio. Seguono l’ex sindaco di Martellago Enzo Casarin, capo
della segreteria di Chisso (già condannato per concussione); il
direttore generale di Sitmarsub Sc e Bos.ca.srl Nicola Falconi; il
legale rappresentante di Selc Sc Andrea Rismondo.
Insomma, un scenario inquietante che conferma le «intuizioni» di
chi si è sempre opposto al Mose. E mette spalle al muro la politica bipartisan delle
larghe intese, ma anche il leghista Luca Zaia nella rincorsa al
secondo mandato.
Sintetizza Massimo Cacciari, sconsolato: «Il
modo in cui si fanno le grandi opere in Italia è criminogeno.
Da
sindaco, durante i governi Prodi e Berlusconi, avviai un processo di
discussione e verifica. In tanti passaggi ebbi modo di ripetere che
le procedure assunte non permettevano alcun controllo da parte
degli enti locali e che il Mose si poteva fare a condizioni più
vantaggiose. L’ho ripetuto milioni di volte, senza essere ascoltato.
Negli anni del governo Prodi, all’ultima riunione del Comitatone,
che diede il via libera al proseguimento dei lavori del Mose fui
l’unico a votare contro con il solo sostegno di una parte del
centrosinistra. Da allora non me ne sono più interessato…».
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