Nel recente passato ci eravamo occupati, criticandolo, di un decreto promulgato dall'allora governo Renzi, che con un titolo roboante (ricordate lo Sblocca Italia ?) aveva l'apparente intento di rilanciare l'economia del Paese.
Un decreto dove oltre alle facilitazioni normative per la costruzione di nuovi inceneritori si ricorreva ai "commissari straordinari", alle
deroghe sulle norme urbanistiche, a una deregulation per
l'edilizia, al pericolosissimo "silenzio=assenso".
Ora con il governo Conte (M5S + Lega) ci occupiamo del DL 32/2019 "Sblocca cantieri", da alcuni ribattezzato "Sblocca porcate".
Anche in questo caso, nascondendosi dietro l'ingannevole volontà di "semplificare" c'è l'allentamento delle disposizioni del codice appalti e dei requisiti per il project financing, la riproposizione della figura dei Commissari con facoltà di procedere in deroga alle normative, l'eliminazione del controllo Cipe per varianti fino al 50% dell’importo dei lavori sulle opere strategiche, il via libera al massimo ribasso, l'obbligo di gara solo sopra i 200 mila euro, l'aumento dal 30% al 50% della quota di lavori che può essere subappaltato, gli interventi di rigenerazione urbana affidati alla normativa regionale anche in difformità dalla nazionale.
Si rende quindi meno trasparente il settore dei lavori pubblici e si aprono varchi di deregulation di cui il malaffare saprà sicuramente approfittare.
I dettagli in due articoli, uno di ANNA DONATI, storica ambientalista e studiosa della mobilità e uno de IL MANIFESTO.
Leggeteli, vi chiariranno molti dubbi.
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Siri docet: lo Sblocca-cantieri
favorisce la corruzione
A volte ritornano: commissari straordinari,
aumento di subappalto e trattativa privata,
varianti facili per le grandi opere, appalto integrato,
ridimensionamento dell’Autorità Anticorruzione,
rigenerazione urbana in deroga,
proroghe per i lavori delle concessioni.
Anche
il governo Cinquestelle-Lega ha infine approvato il suo decreto
Sblocca-cantieri: ultimo in ordine di tempo di provvedimenti all’insegna
della proroga, della trattativa privata, dei commissari straordinari,
delle varianti facili, provvedimenti che abbiamo visto da oltre 30 anni
per grandi opere strategiche, protezione civile, post-terremoti,
interventi d’emergenza veri, falsi e presunti, con deroghe che diventano
la regola. Come sono lontani i tempi delle battaglie grilline
all’insegna dell’onestà-onestà, contro la Legge Obiettivo e la dura
opposizione al decreto Sblocca Italia del governo Renzi, a cui lo
Sblocca-cantieri odierno- da lunedì 6 maggio entra nel vivo al Senato –
assomiglia in modo impressionante.
Coerenti
i leghisti, che hanno sempre avversato il nuovo Codice appalti del
governo Gentiloni e del ministro Delrio del 2016, come dichiarato da
tempo dal sottosegretario leghista Armando Siri, oggi indagato per
corruzione, che chiedeva di “cancellare il Codice degli appalti,
eliminare l’Autorità anticorruzione, perché sono loro la malattia e non
le tangenti. Smettiamola di prendere medicine per curare una malattia
che ha bisogno invece di buonsenso e di meno burocrazia”. Parole chiare
che adesso il decreto Sblocca-cantieri ha tradotto in norme dimenticando
la lunga catena di scandali che hanno portato alla nascita del nuovo
Codice appalti che adesso il decreto Sblocca-cantieri demolisce in ben
81 articoli. Le tangenti sull’Expo e quelle sul Mose, le inchieste sulla
sanità e quelle per la ricostruzione post terremoto, la cricca delle
Grandi Opere e la recentissima inchiesta sullo stadio della Roma.
Ora
il Parlamento è chiamato a discutere il Decreto, e c’è da sperare che
cambi radicalmente il testo ed i suoi inaccettabili contenuti.
Norme
in deroga già sperimentate in passato che non sono state un volano per
incrementare i lavori ma solo la scarsa qualità delle opere pubbliche,
non hanno prodotto innovazioni di prodotto e di processo, anzi hanno
fatto registrare un aumento ingiustificato dei costi e gravi episodi di
corruzione e concussione.
Il
decreto Sblocca-cantieri (decreto legge n. 32/2019) manca il suo
obiettivo e avrà come unico risultato il rendere meno trasparente il
settore dei lavori pubblici nell’assegnazione dei lavori e dei
subappalti, nella definizione e autorizzazione dei progetti, nella
vigilanza sulle infiltrazioni della criminalità organizzata, con il
rischio di pesanti ricadute sui costi economici e ambientali a carico
della comunità. Per questo le associazioni
ambientaliste, WWF Italia, Kyoto Club e Legambiente, che hanno già
inviato osservazioni critiche e proposte di emendamento ai membri delle
Commissioni Ambiente e Lavori Pubblici del Senato.
Le
critiche delle tre associazioni si sono concentrano sulle modifiche
introdotte dall’articolo 1 del decreto legge n. 32/2019 (AS N. 1248) a
numerose disposizioni che cambiano il Codice degli appalti, alla
re-introduzione dei Commissari straordinari per la realizzazione delle
infrastrutture prioritarie e alla norme derogatorie per la Rigenerazione
urbana, denunciando il ridimensionamento sistematico e ingiustificato
del ruolo e delle funzioni svolte dall’Autorità Nazionale
Anticorruzione, presieduta da Raffaele Cantone.
La
norma aumenta la trattativa privata da 150mila euro a 200 mila, ma
elimina la fascia da 200 mila fino ad un milione – dove l’attuale codice
appalti prevede una procedura negoziata con invito ad almeno 15
operatori – rendendo invece obbligatoria la gara. Quest’ultima modifica
sembra essere tra le poche cosa utili all’incremento della concorrenza
del decreto.
La
restaurazione del Codice appalti promossa dal decreto Sblocca-cantieri
viene completata dalla reintroduzione sino al 2021 dell’appalto
integrato che affida pericolosamente ad un solo soggetto la
progettazione ed esecuzione dei lavori, la riesumazione dei Commissari
Straordinari per le opera prioritarie, che possono operare anche in
assenza di un parere espresso dalle amministrazioni di tutela dei beni
culturali e paesaggistici e compiere valutazioni ambientali in tempi
contingentati,le proroghe sulla quota di lavori da mettere a gara per le
concessioni, l’aumento del subappalto, gli allentamenti dei controlli e
della soglia dei lavori a trattativa privata,la destrutturazione delle
procedure autorizzative delle varianti per le “infrastrutture
strategiche” della Legge Obiettivo, con l’eliminazione del doppio
controllo in capo al CIPE.
Norme
che rafforzano la Legge Obiettivo invece di eliminarla definitivamente
insieme al suo lungo regime transitorio per le grandi opere strategiche,
che infatti proseguono (più o meno) la loro corsa.
Infine
va ricordato che sempre nel decreto legge Sblocca-cantieri sono
previste norme per affidare direttamente lavori e progetti nella
ricostruzione dei lavori privati post terremoto del Centro Italia e
modifiche per consentire Progetti di Rigenerazione Urbana in deroga agli
standard vigenti.
Ecco in dettaglio le principali norme contenute nel Decreto Legge 32/2019 Sblocca Cantieri:
Aumento della trattativa privata, gare sopra 200 mila euro e massimo ribasso per le opere sotto soglia
Resta
a 40 mila euro, la soglia per gli affidamenti diretti da parte dei
funzionari delle pubblica amministrazione, ma sale da 150 mila a 200
mila euro, il tetto massimo per assegnare gli appalti a trattativa
privata e procedura negoziata con invito ad almeno tre operatori. Oltre i
200 mila euro il decreto prevede l’obbligo di procedere con gara con
procedura aperta, ma con aggiudicazione al massimo ribasso.
Ricordiamo
che in questo modo è stata smantellata una fascia da 200 mila fino ad 1
milione in cui la gara era ristretta ad inviti di almeno 15 operatori
prevista dal Codice vigente. Per le opere sotto la soglia Ue di 5,5
milioni, si abbandona l’offerta più vantaggiosa a favore del criterio
del massimo ribasso, con l’obbligo di escludere le offerte anomale, cioè
quelle con percentuali di ribasso superiori alla media. Non
dimentichiamo che il massimo ribasso non ha mai favorito la qualità
degli interventi ed il rispetto delle regole (sicurezza, lavoro nero..)
nei cantieri.
Appalto integrato fino al 2021
La misura prevede la possibilità di ricorrere all’appalto integrato per i progetti definitivi approvati entro il 31 dicembre 2020. L’altra condizione da rispettare è quella di pubblicare il bando entro 12 mesi dall’approvazione del progetto, arrivando in questo modo a dicembre 2021. Fino a quella data dunque le stazioni appaltanti potranno approvare progetti fino al livello definitivo e mandarli in gara senza tener conto dei paletti attualmente previsti (complessità tecnologica o lavori particolarmente innovativi).
La misura prevede la possibilità di ricorrere all’appalto integrato per i progetti definitivi approvati entro il 31 dicembre 2020. L’altra condizione da rispettare è quella di pubblicare il bando entro 12 mesi dall’approvazione del progetto, arrivando in questo modo a dicembre 2021. Fino a quella data dunque le stazioni appaltanti potranno approvare progetti fino al livello definitivo e mandarli in gara senza tener conto dei paletti attualmente previsti (complessità tecnologica o lavori particolarmente innovativi).
Non
dimentichiamo che la separazione tra progettazione ed esecuzione dei
lavori da parte dello stesso soggetto, è stata una dei caposaldi del
nuovo Codice appalti, che aveva lo scopo di incrementare la qualità dei
progetti, la ricerca delle soluzioni tecnologiche e di inserimento del
progetto nel contesto territoriale e urbano. Una separazione necessaria
per avere una progettazione di qualità, capace di identificare soluzioni
innovative, nuove tecnologie, inserimenti adeguati nel territorio e
nelle realtà urbana, processi e materiali innovativi. Una progettazione
indipendente da chi realizza l’opera che per inerzia tende a riproporre
sempre lo stesso manufatto ad alta intensità di cemento e asfalto.
Subappalti crescono dal 30% al 50%
Salgono dal 30% al 50% la quota di lavori che può essere subappaltato dall’impresa principale. Il decreto prevede inoltre la cancellazione della terna delle imprese a cui si vuole subappaltare da indicare nella gara. Inoltre la percentuale di subappalto ammissibile dovrà essere stabilita gara per gara con i bandi dalle amministrazioni, una norma discrezionale che non piace alle imprese.
Salgono dal 30% al 50% la quota di lavori che può essere subappaltato dall’impresa principale. Il decreto prevede inoltre la cancellazione della terna delle imprese a cui si vuole subappaltare da indicare nella gara. Inoltre la percentuale di subappalto ammissibile dovrà essere stabilita gara per gara con i bandi dalle amministrazioni, una norma discrezionale che non piace alle imprese.
Va
ricordato che sul tema del subappalto è in corso da tempo un braccio di
ferro tra l’Italia e la Commissione Europea che vorrebbe la totale
liberalizzazione del subappalto e che ha avviato su questo tema una
procedura d’infrazione contro l’Italia. Ma il contrasto era già presente
quando il ministro Delrio varò il nuovo Codice appalti nel 2016 ed il
governo decise di mantenere il limite del subappalto al 30% massimo,
tenendo conto del contesto italiano e della delicatezza della questione.
Suona davvero anomalo che, ora che al governo del Paese c’è un
esecutivo antieuropeo, ci sia “sdraiati” in questo modo di fronte alle
contestazioni, invece di far valere le specifiche ragioni italiane in
Europa, a tutela del lavoro e delle caratteristiche delle imprese
italiane.
Niente obbligo per i Comuni di centralizzare gli appalti
Con la modifica al comma 4 dell’art. 37 del Dlgs n. 50/2016, i Comuni non capoluogo di provincia possono gestire da soli le procedure di gara di maggior rilievo, senza ricorrere a centrali uniche di committenza o stazioni uniche appaltanti, come prevede il codice attuale.
Con la modifica al comma 4 dell’art. 37 del Dlgs n. 50/2016, i Comuni non capoluogo di provincia possono gestire da soli le procedure di gara di maggior rilievo, senza ricorrere a centrali uniche di committenza o stazioni uniche appaltanti, come prevede il codice attuale.
Infatti,
il decreto in oggetto, elimina l’obbligo per le amministrazioni
comunali non capoluogo di ricorrere a formule di aggregazione per
l’acquisizione di lavori, beni e servizi oltre certe soglie. Questa non è
una misura efficiente perché avere delle centrali di committenza per
gli appalti qualificate, trasparenti, controllate, data anche la
complessità delle norme, direttive e sentenze, è opportuno.
Qualificazione allentata per le imprese
Per
il sistema di qualificazione delle imprese, il limite viene innalzato a
15 anni, mentre oggi per dimostrare i requisiti tecnico-economici le
imprese facevano riferimento ai risultati degli ultimi dieci anni. Un
modo per permettere ai costruttori di superare all’indietro gli anni
peggiori delle crisi cominciata nel 2008, che ormai ha pervaso molte
delle principali imprese italiane. Peccato che a farne le spese, con
questo nuovo sistema, sia il controllo sulla qualità delle imprese,
sminuendo il ruolo delle SOA, gli organismi di controllo, e senza
dimenticare che inizialmente l’arco temporale di controllo era di cinque
anni, poi portato a 10 anni ed ora innalzato a 15 anni.
Grandi Opere Strategiche della Legge Obiettivo: niente controllo Cipe per varianti fino al 50% dell’importo dei lavori
Con
l’introduzione del nuovo comma 1-ter dell’art. 216 del Dlgs n. 50/2016
si stabilisce che, nel caso di “infrastrutture strategiche” approvate
con le procedure accelerate e semplificate della Legge Obiettivo
inserita nel Codice appalti, se le varianti nella redazione del progetto
esecutivo o in fase di realizzazione dell’opera non supano del 50% il
valore del progetto definitivo approvato dal CIPE, saranno approvate
esclusivamente dal soggetto aggiudicatore.
Si
tratta di una modifica gravissima ed inaccettabile del Codice appalti,
dove non vi sarebbe più un controllo governativo e collegiale sulle
opere strategiche, la spesa per grandi investimenti e l’impatto
ambientale delle varianti e modifiche delle opere. Da notare che il 50%
del valore del progetto definitivo approvato dal CIPE per le grandi
opere ammonta a cifre ragguardevoli e che il nuovo Codice degli appalti
(Dlgs n. 50/2016) nasce come soluzione di discontinuità rispetto ad una
stagione delle infrastrutture strategiche in cui l’assenza di Piani
economico-finanziarie credibili, l’approssimazione sull’ammontare reali
dei costi a preventivo e la continua loro lievitazione in corso d’opera,
hanno portato a gravami insostenibili per le casse pubbliche e a
violazioni sistematiche delle norme.
Mantenere
quindi un doppio controllo sulle varianti in corso d’opera appare
ancora necessario soprattutto se si considera anche il ruolo dato al
CIPE dalla vecchia disciplina proprio in relazione all’approvazione del
progetto definitivo e quindi al rispetto delle prescrizioni da questo
approvate prima del passaggio alla fase esecutiva di progettazione e
realizzazione, in modo anche di avere un controllo reale sugli
incrementi di costo delle grandi opere strategiche.
E
poi sarebbe ora di cancellare definitivamente anche il regime
transitorio della Legge Obiettivo, invece di rafforzare il suo carattere
derogatorio.
Proroga per i bandi di gara dei concessionari
Con
la modifica introdotta al comma 2, primo periodo dell’art. 177 del Dlgs
n. 50/2016 si allungano il tempi – fino al 31 dicembre 2019 – entro cui
i concessionari devono adeguarsi per portare all’80% la quota di lavori
che devono essere messi a gara. Si tenga conto che il Codice appalti
vigente assicurava già due anni ai concessionari per raggiungere questo
obiettivo e quindi già da aprile 2108 l’80% dei lavori doveva essere
messo sul mercato dai concessionari.
E
invece di censurare e penalizzare le concessioni che non hanno
provveduto nei tempi stabiliti, il decreto n. 32/2019 concede ulteriori
mesi di proroga.
Da
segnalare, inoltre, che si lascia immutata la speciale previsione per i
concessionari autostradali di mettere a gara il 60% dei lavori mentre
la restante parte dei concessionari dovrà mettere l’80% a gara: si
tratta di una preferenza immotivata che andrebbe corretta con il
presente decreto portando tutti i concessionari all’80% dei lavori a
gara e solo il 20% in house.
Anche questo governo Cinquestelle-Lega mostra – nonostante i proclami –
la solita reverenza verso i concessionari ed in particolare quelli
autostradali.
Candidature per il Project Financing senza requisiti
Fondi
immobiliari e istituti nazionali di promozione potranno presentare
proposte in partenariato pubblico-privato per progetti non previsti dai
programmi di lavori pubblici delle amministrazioni pubbliche.
Inoltre con il nuovo comma 17-bis dell’art. 183 del Dlgs n. 50/2016 si interviene sui requisiti necessari per candidarsi a realizzare opere in project financing
stabilendo che gli investitori istituzionali possano non avere i
requisiti necessari per candidarsi insieme a soggetti che posseggano
tali requisiti. La norma richiamata che elenca questi investitori (legge
n. 122/2010, articolo 32, comma 3) indica che si tratta di: a) Stato o
ente pubblico; b) Organismi d’investimento collettivo del risparmio; c)
Forme di previdenza complementare nonché enti di previdenza
obbligatoria; d) Imprese di assicurazione, limitatamente agli
investimenti destinati alla copertura delle riserve tecniche; e)
Intermediari bancari e finanziari assoggettati a forme di vigilanza
prudenziale ed altri soggetti analoghi.
Se
consideriamo la debolezza della “Finanza di progetto” nel nostro Paese e
il modo sistematico con cui sono crollati tutti i Piani economici e
finanziari per progetti e grandi opere, non si ritiene davvero opportuna
questa misura, che allenta ulteriormente l’individuazione, e quindi la
definizione dei requisiti e delle garanzie in materia di project financing.
Regolamento Unico da varare entro 180 giorni
Il decreto legge 32 stabilisce che entro 180 giorni venga emanato un Regolamento unico (art. 216, comma 27-octies) di attuazione delle modifiche introdotte che per diverse materie avrebbero dovuti essere resi dall’ANAC. Addio quindi alla soft law
del Codice appalti, si ridimensiona il ruolo di ANAC e si torna al
Regolamento unico tanto criticato del Codice appalti del 2006 del
governo Berlusconi.
La
norma inoltre prevede che il vecchio sistema di linee guida e
regolamenti attuativi resti in piedi fino all’arrivo del nuovo
Regolamento, da varare entro 180 giorni dal decreto. Qui c’è il rischio
concreto di lasciare le stazioni appaltanti e imprese senza chiari
riferimenti per i prossimi mesi e quindi frenando di fatto i bandi di
gara invece di sbloccare i cantieri.
Tornano i Commissari straordinari
Per
sbloccare le opere e si rafforza, invece di essere definitivamente
eliminata, la Legge Obiettivo, tornano ora i commissari straordinari ad
hoc.
Il Decreto Legge 32/2019 all’articolo 4 re-istituisce la figura dei Commissari governativi straordinari per gli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari
(le “infrastrutture strategiche del vecchio Codice Appalti, Dlgs n.
163/2006). E si consente agli stessi Commissari di procedere in deroga
alla normativa vigente sui beni culturali e paesaggistici, passati 60
giorni, nel caso che le autorità competenti non si siano pronunciate, di
dimezzare i tempi dei procedimenti di Valutazione di impatto ambientale
e della contestuale Valutazione di Incidenza.
Ora,
non si può che rilevare come richiamare e rilanciare la pratica del
“silenzio/assenso” anche in relazione ai nulla osta relativi ai beni
paesaggistici culturali rientri in un vecchio armamentario che si
riteneva superato.Come anche la pratica di comprimere da 60 a 30 giorni
il termine perché i cittadini possano esercitare il loro diritto alla
partecipazione, avendo il tempo necessario per poter redigere proprie
osservazioni, proprio su quelle grandi opere che hanno maggiore impatto
ambientale, sociale ed economico.
WWF
Italia, Kyoto Club e Legambiente, hanno sempre criticato, facendo
riferimento al quindicennio di disastrosa applicazione della Legge
Obiettivo, come le procedure accelerate e semplificate per le grandi
opere abbiano prodotto progetti di scarsa qualità, mal realizzate a
scapito della tutela dei beni paesaggistici, culturali e ambientali
Sarebbe
necessario non solo eliminare questo articolo 4 dal presente decreto,
ma superare in modo definitivo la Legge Obiettivo, che il Codice appalti
del 2016 superava sul piano normativo, ma poi consentiva un lungo
regime transitorio ancora oggi presente sulle opere ancora in corso di
progettazione e decisione.
Ricostruzione post terremoto, avanti senza gara
In
relazione alla ricostruzione post sisma ” per la ricostruzione privata”
nel Centro Italia, i decreto cancella la procedura negoziata con almeno
tre imprese: non sarà più obbligatorio mettere a confronto almeno tre
preventivi ma si potrà affidare l’appalto privato direttamente
all’impresa.
Ulteriore
novità è prevista dal Decreto 32 nei servizi di progettazione per le
stesse aree. Il sistema dell’aggiudicazione al massimo ribasso, previa
procedura negoziata con consultazione di almeno dieci professionisti,
viene esteso ai servizi tecnici e per l’elaborazione degli atti di
pianificazione e programmazione urbanistica per importi sotto-soglia.
Anche
in questo caso, dunque, la giusta esigenza di procedere rapidamente
alla ricostruzione post terremoto del Centro Italia, viene risolta
aumentando la trattativa privata nei lavori e nella progettazione, senza
introdurre alcun contrappeso di controllo pubblico su queste procedure,
che non dimentichiamo hanno spesso indotto comportamenti illeciti e
fenomeni di concussione e corruzione in lavori analoghi di
ricostruzione.
Interventi di rigenerazione urbana in deroga
Con
la modifica previste dall’art. 5 del decreto legge n. 32/2019 (AS N.
1248) all’articolo 2-bis del DPR n. 380/2001, si introduce una norma
pericolosa negli effetti diretti e generalizzati che puòprovocare norme
arlecchino nelle diverse Regioni italiane, per gli interventi di
rigenerazione urbana.
In
questi anni è stato chiesto da parte di costruttori e architetti di
ridurre i limiti normativi sulla distanza tra fabbricati stabilite dal
decreto del ministro dei Lavori pubblici n. 1444/1968, con la ragione
che appaiono spesso troppo ampie (portando a strade e spazi pubblici
fuori scala) e che non esiste più un rischio di speculazione edilizia ma
semmai un’esigenza contraria di avere progetti che valorizzino la
densità in particolare nelle aree già edificate e accessibili con i
mezzi pubblici, per contenere il consumo di suolo. Questa esigenza è
certamente condivisibile in linea generale.
La
proposta di modifica prevista all’articolo 5 appare però sbagliata per
diverse ragioni. Innanzitutto perché trasferisce alle Regioni la potestà
di emanare norme e/o regolamenti che superino l’ordinamento e gli
standard nazionali e di definire discipline differenziate in piena
autonoma, senza riferimenti chiari. E poi perchè l’unica soluzione
individuata è una deroga agli standard vigenti.
La
proposta appare un evidente compromesso, perché così il Parlamento non
si assume la responsabilità di cambiare la norma sugli standard ma
lascia decidere alle Regioni. Ma questa soluzione è sbagliata perché i
riferimenti su temi così delicati e sulla qualità del costruito, devono
essere omogenei su tutto il territorio nazionale e devono davvero
indurre, con strumenti innovativi e da scrivere in norma, la
riqualificazione delle nostre periferie.
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L'articolo sullo Sblocca cantieri de Il Manifesto. Cliccare sopra per ingrandire. |
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