Sono passati 3 anni dalla STRAGE della THYSSENKRUPP di Torino in cui persero la vita, 7 lavoratori. NOI NON DIMENTICHIAMO e per questo vi proponiamo un intervento tratto dal sito nomortilavoro e un drammatico filmato di allora.
Nulla purtroppo è cambiato da allora. Altri lavoratori sono morti, altri lavoratori hanno subito infortuni ed incidenti nelle aziende ove lavoravano. Aziende spesso INADEMPIENTI sulla SICUREZZA, aziende che antepongono IL PROFITTO alle condizioni di lavoro dei loro dipendenti.
Le famiglie dei 7 morti della Thyssenkrupp ancora attendono GIUSTIZIA e ancora assistiamo alle INDECENTI DICHIARAZIONI di chi HA LA RESPONSABILITA' DI QUESTI OMICIDI perchè tali sono.
Per non dimenticare.
La
spoon river torinese: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino,
Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe De Masi.
Sono
morti uno dopo l'altro.
L'amministratore
delegato della Thyssenkrupp Harald Estenhan è accusato di omicidio
volontario con dolo eventuale. Gli altri cinque dirigenti e dipendenti
della ThyssenKrupp e la ThyssenKrupp come persona giuridica sono stati
rinviati a giudizio per omicidio colposo con colpa cosciente.
In più ai sei imputati è stata contestata anche l'omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
119 violazioni delle norme di sicurezza riscontrate dall'Asl, tagli alla sicurezza persino imbarazzanti.
Nei pressi della maledetta linea cinque gli estintori erano fuori uso (trentadue estintori, trentadue irregolarità), irregolarità nelle misure di sicurezza, nei portoni d'accesso, nei controlli, nel telefono d'emergenza.
Tre anni maledetti anni. In cui nulla è cambiato si continua a morire di e sul lavoro.
In più ai sei imputati è stata contestata anche l'omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
119 violazioni delle norme di sicurezza riscontrate dall'Asl, tagli alla sicurezza persino imbarazzanti.
Nei pressi della maledetta linea cinque gli estintori erano fuori uso (trentadue estintori, trentadue irregolarità), irregolarità nelle misure di sicurezza, nei portoni d'accesso, nei controlli, nel telefono d'emergenza.
Tre anni maledetti anni. In cui nulla è cambiato si continua a morire di e sul lavoro.
E'
l'inferno qui muoiono tutti disse uno dei soccorritori. "In 32 anni di
servizio ho visto tanti morti ma mai qualcosa di simile" ispettore dei
vigili del fuoco. Una sagoma gridava "Non voglio morire". Una sagoma
gridava, poi si è accasciata. "Ci sono i nostri compagni li sentiamo
gridare". "Le palpebre si sono sciolte, anche le guance". "Aiutatemi non
fatemi morire". "Mi è già capitato di parlare con chi sta per morire.
Vorrei toccarlo fargli sentire che non è solo".
Stralci
di racconti dei soccorritori. A leggere questi racconti mi si è stretto
il cuore. Spero che leggano anche i dirigenti della Thyssen e siano
perseguitati dal ricordo e da queste urla di dolore per tutta la vita.
Intanto si chiede giustizia.
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Processo ThyssenKrupp
Son trascorsi 3 anni dal rogo della TyssenKrupp dove
morirono 7 operai nel frattempo, ogni anno, la media dei morti sul
lavoro è sempre sopra i 1200, oltre 1 milione di incidenti e decine di
migliaia di invalidi.
La precarietà, connessa all’insicurezza degli impianti-cantieri, è
diventata la regola, ovvero la pianificazione delle stragi da lavoro:
continuiamo con le denunce – proteste, sapendo che solo la progressiva
lotta per liberarci dal lavoro salariato ci affrancherà da questa
mostruosità.
Sono passati tre anni esatti dalla notte che ha cambiato Torino. Nella
città dove è nato il movimento operaio e dove ancora oggi si detta la
politica industriale, sette operai sono stati arsi vivi dall’incendio scoppiato alle acciaierie della ThyssenKrupp
di corso Regina Margherita. Stavano svolgendo il loro turno di notte.
Una tragedia, resa ancora più crudele dalla morte lenta ma inesorabile
delle ustioni. Si sono spenti l’uno dopo l’altro, gli operai della
Thyssen. Giuseppe De Masi, l’ultimo ad andarsene, è deceduto
ventiquattro giorni dopo il rogo. Una lunga agonia. Aveva solo 26 anni.
Prima di lui era toccato ad Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo
Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo e Rosario Rodinò. Cosa resta di
loro? Resta il dolore. Ovvio. Ma resta anche un processo che sta
dettando nuove regole per le morti bianche.
Il giorno della strage |
I funerali: in prima fila, con il giornale in mano il padre di una delle vittime |
Harald Espenhanh |
Tra queste ci sono anche i sindacati di Fiom , Fim e Uilm. I sindacati compaiono nel processo come rappresentanti dei lavoratori.
Non si tratta solo di tutelare chi è morto, ma anche quei colleghi che lavoravano nelle stesse condizioni e che avrebbero potuto trovarsi al posto dei sette operai bruciati vivi. Condizioni che, secondo l’accusa, sono la causa dell’incendio: sporcizia, imperizia, abbandono, mancata osservanza delle norme e dei dispositivi antincendio.
ThyssenKrupp sapeva – è la tesi della pubblica accusa – ma ha dirottato i soldi destinati alla sicurezza verso lo stabilimento di Terni. Quello di corso Regina Margherita a Torino era in dismissione.
I parenti delle vittime al processo con sulle magliette le foto dei lavoratori morti |
Un modo per ricordare i caduti della Thyssen, un modo affinché la loro tragedia serva per migliorare la conoscenza e le condizioni lavorative dei loro colleghi ancora oggi in attività. Ricordare i sette operai della ThyssenKrupp significa anche non dimenticarsi di chi è rimasto. Come i trenta lavoratori ancora in forza alla ThyssenKrupp.
I sindacati sono ancora in attesa di un incontro richiesto a fine novembre agli assessori al Lavoro di Comune, Provincia e Regione. Il 31 dicembre scadrà il loro periodo di cassintegrazione e se non si troveranno ulteriori strumenti, per loro non rimane altro che la mobilità.
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