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La Meda e la Brianza che amiamo e che vogliamo tutelare

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CRONACHE DA CHI SI IMPEGNA A CAMBIARE IL PAESE DEI CACHI E DEI PIDUISTI.
"Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente,
ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere,
se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?"
Antonio Gramsci-politico e filosofo (1891-1937)
OMAGGIO ALLA RESISTENZA.
Ciao Dario, Maestro, indimenticabile uomo, innovativo, mai banale e sempre in prima fila sulle questioni sociali e politiche.
Ora sei di nuovo con Franca e per sempre nei nostri cuori.

"In tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta.
Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po' le teste.
Tutto il resto, la bellezza per la bellezza, non mi interessa."

(da Il mondo secondo Fo)

giovedì 27 gennaio 2011

27 gennaio GIORNO DELLA MEMORIA: la testimonianza del DEPORTATO ANGELO SIGNORELLI

Per non dimenticare 
Non dimenticate 

Vi chiedo una sola cosa: se sopravvivete a questa epoca non dimenticate. 
Non dimenticate né i buoni né i cattivi. 
Raccogliete con pazienza le testimonianze di quanti sono caduti per loro e per voi. 
Un bel giorno oggi sarà il passato e si parlerà di una grande epoca e degli eroi anonimi che hanno creato la storia. 
Vorrei che tutti sapessero che non esistono eroi anonimi. Erano persone, con un nome, un volto, desideri e speranze, e il dolore dell 'ultimo fra gli ultimi non era meno grande di quello del primo il cui nome resterà.  
Vorrei che tutti costoro vi fossero sempre vicini come persone che abbiate conosciuto, come membri della vostra famiglia, come voi stessi.

Julius Fucik eroe e dirigente della Resistenza cecoslovacca, impiccato a Berlino l’8 settembre 1943

Il Generale Dwight D. Eisenhower aveva ragione  
nell’ordinare che fossero fatti molti filmati e molte foto.

 

Esattamente, come è stato previsto circa 60 anni fa…
E’ una questione di Storia ricordare che,
quando il Supremo Comandante delle Forze Alleate
 Generale Dwight D. Eisenhower,
incontrò le vittime dei campi di concentramento,
ha ordinato che fosse fatto il maggior numero di foto possibili,
e fece in modo che i tedeschi delle città vicine
fossero accompagnati  fino a quei campi
e persino seppellissero i morti.

 
 
E il motivo, lui l’ha spiegato così:
 
'Che si tenga il massimo della documentazione,
che si facciano filmati , che si registrino i testimoni
 perchè, in qualche momento durante la storia,
qualche idiota potrebbe sostenere
che tutto questo non è mai successo'.

 
'Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male,
è che gli uomini di bene non facciano nulla'.
(Edmund Burke)

Ricordiamo:

 



6 milioni di ebrei,
500 mila rom e sinti,
migliaia di testimoni di geova ed evangelici,
innumerevoli appartenenti alla comunità omosessuale
centinaia di migliaia di prigionieri politici e di partigiani
una parte dei 600 mila internati militari italiani 
20 milioni di russi,
10 milioni di cittadini
e 1900 religiosi
 
sono stati assassinati, massacrati, violentati,
 bruciati, morti di fame e umiliati,

 
Ora, più che mai, è fondamentale fare in modo che
il mondo non dimentichi mai.





Io so cosa vuol dire non tornare.
A traverso il filo spinato ho visto il sole scendere e morire.
Ho sentito lacerarmi la carne le parole del vecchio poeta:
“Possono i soli cadere e tornare,
a noi, quando la luce è spenta, una notte infinita è da dormire”.
Primo Levi

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Dal sito ANPI di Lissone

Martedì 7 dicembre 2010
Angelo Signorelli ci ha lasciati. Si è spento all'Ospedale S Gerardo dove era ricoverato per un improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute. Siamo tutti vicini al grande dolore della moglie Silvana.
 

 
Signorelli a 17 anni, da solo un mese operaio alla Falck di Sesto San Giovanni, partecipa ai grandi scioperi del marzo '44 e pochi giorni dopo viene arrestato di notte assieme al fratello; dopo due soste a San Vittore e a Bergamo viene deportato con gli ormai tragicamente noti carri bestiame a Mauthausen e quindi a Gusen dove è rimasto per 14 mesi.
 
 


Il suo racconto segue ahimè un itinerario già noto per tante altre testimonianze: lavoro durissimo, stenti, botte ad ogni minimo pretesto e, soprattutto, perdita di identità: per sopravvivere era indispensabile imparare il proprio numero di matricola e riconoscerlo agli appelli fatti dai kapò in tedesco o in polacco od anche in russo.
La liberazione lo trova in coma, assalito da una febbre violenta, poi la guarigione ed il ritorno in patria.


 
Il mio nome è IT 59141
Angelo Signorelli, monzese per lavoro, racconta i mesi vissuti a Mauthausen. L'unica sua colpa è stata l'aver partecipato a uno sciopero.
 
“ Mi chiamo Angelo Signorelli, sono nato il 17 agosto 1926 a Grumello del Monte, in provincia di Bergamo, da una famiglia contadina.
Nel 1936 ci trasferimmo a Monza in cerca di occupazione.
Mio padre trovò lavoro da operaio alle Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck di Sesto San Giovanni, come più tardi, nel 1941, i miei due fratelli maggiori.
 
Entrai alla Falck anch'io, assunto come apprendista modellista. Facevo tirocinio, costruivo ancore in un reparto dove c'erano molti operai specializzati. Lavoravo di giorno e la sera andavo alle scuole professionali per imparare disegno meccanico, indispensabile per un buon operaio. Si facevano molti sacrifici, si aveva paura, spesso si tornava a casa sotto i raid aerei. Nel 1942 sentii per la prima volta la parola sciopero, di cui ignoravo il significato. Nel 1943 ci furono i primi scioperi che paralizzarono tutta l'industria, ma nell'agosto mi ammalai di tifo e fui ricoverato in ospedale a Monza.
Tornai al lavoro dopo una lunga convalescenza e capii subito che la situazione era peggiorata: il cibo nelle mense scarseggiava e tutte le conquiste delle lotte precedenti erano state annullate dall'inflazione. Bisognava fare qualcosa. Nel marzo 1944 partecipai con tutti i lavoratori al grande sciopero generale. L'obiettivo era la caduta della repubblica fascista di Salò e la liberazione dall'invasione nazista. Subito dopo, la notte dell'11 marzo, fui arrestato dalla polizia fascista insieme a mio fratello. Ci buttarono letteralmente giù dal letto. Mio fratello voleva cercare di scappare dalla finestra, ma poi non opponemmo resistenza, per evitare conseguenze ai nostri genitori. Ci portarono via in fretta e furia.
All'alba il rastrellamento degli altri operai che avevano scioperato con noi era finito. C'era gente di Monza e Sesto San Giovanni. Fummo portati in prefettura a Milano e lì, oltre a noi c'erano dipendenti della Falck, della Breda, della Pirelli, della Marelli e di altre ditte. Fummo tutti interrogati senza diritto di replica, accusati di organizzazione e istigazione di scioperi e atti di sabotaggio contro la repubblica fascista. Ci mandarono a dormire al carcere di San Vittore, su un pagliericcio. Dimostravo molto meno dei miei 17 anni, anche per la mia magrezza, ma un ispettore parlando con un altro gli disse: "macché minorenne, qui sono tutti uguali e seguiranno tutti la stessa sorte". Queste parole mi colpirono molto e mi rimasero impressi i loro volti.
Dopo due giorni fummo trasferiti tutti a Bergamo, in camion. Qui ci trovammo con altri operai rastrellati in giro per l'Italia, che si trovavano già lì da qualche giorno. Eravamo affamatissimi e come cibo ci davano una fetta di pane con del brodo per tutta la giornata.
Il 17 marzo fu il giorno della partenza, arrivarono anche i miei genitori da Monza e il cappellano militare di San Rocco, Don Lino Mandelli.
Incolonnati, scortati da una parte dalle SS e dall'altra dai fascisti, andammo a piedi alla stazione, minacciati e picchiati. Nessuno sapeva né che cosa avevamo fatto, né dove eravamo diretti. Eravamo spaventati. I parenti ci avevano portato viveri e la gente generosa di Bergamo ci regalò fiaschi di vino.
Fummo stipati a quaranta alla volta su carri-bestiame. Eravamo totalmente inconsapevoli della nostra sorte. Pensavamo di andare a lavorare da qualche parte. Noi di Monza eravamo fortunati, avevamo delle torte fatte dai nostri familiari e del vino e ci dividemmo tutto. Cercammo di staccare qualche asse di legno per scappare, ma ci avevano requisito tutta la roba personale a Milano. La notte faceva freddo, si soffriva la sete e al terzo giorno non riuscivamo nemmeno a parlare, tanto eravamo stremati. Durante una sosta al Tarvisio ci dissetammo mangiando neve.
Scoprimmo la nostra destinazione arrivando al campo di concentramento di Mauthausen.
Era un'enorme fortezza di pietra, tutta cintata con muri di tre metri e protetti da mitragliatrici. Fummo spogliati di tutto: soldi, orologi, anelli, fotografie. Tutto venne annotato dalle SS.
Fummo spogliati dei nostri abiti civili e rapati a zero. Completamente nudi entrammo in un salone a fare la doccia. Lì fui separato da mio fratello. Avevamo lunghi mutandoni di lana e pantaloni a righe. Ci misero in baracche isolate dal resto del campo, a Gusen I, sottocampo di Mauthausen, per la quarantena.
Non avevamo letti e dormivamo su un fianco, perché sdraiati non ci stavamo tutti e i kapò ci picchiavano. Al mattino eravamo indolenziti e infreddoliti. I kapò ci picchiavano per qualsiasi cosa e ci davano da mangiare una volta sola al giorno. Una volta rifiutammo la nostra razione di cibo, sempre zuppa di crauti, e furono guai, botte e insulti. Ci dissero che metà di noi sarebbe morta entro tre mesi.
Dopo qualche giorno completarono il nostro abbigliamento con berretto a strisce, maglia, calze, zoccoli di legno e la giacca a righe, con un numero di matricola per il riconoscimento. Mi avevano spogliato di tutto, ora al posto del nome avevo solo una matricola: IT 59141.
Durante la quarantena lavorammo alla costruzione di un altro campo, il Gusen II. Eravamo esposti ad ogni tipo di intemperie. Il lavoro cambiava da un giorno all'altro: scavavamo, spostavamo terra, facevamo i fossi per le tubazioni dell'acqua, costruivamo baracche e pozzi. Se pioveva o faceva freddo si intirizzivano le mani e i piedi scivolavano come burro sulla terra bagnata. La morte coabitava con noi, ero molto impaurito e sfiduciato. Cercavamo di resistere a tutto. Si pensava che sarebbe arrivata la Liberazione e che tutto sarebbe passato. Ormai anche la zuppa di crauti era diventata buona col passare del tempo: quando era servita calda, per un momento sembrava di rivivere.
Si prendevano botte per tutto: se non rifacevi bene il letto, se avevi preso i pidocchi, se non capivi bene i comandi in tedesco. Tutto poteva giustificare delle nerbate. Un giorno ne presi 42 perché avevo trovato il modo di rubare delle patate. L'idea era venuta a quelli che stavano in cucina, gli spagnoli. Così me ne davano metà, però cotte. Io le dividevo con gli altri miei compagni di sventura nella baracca. Eravamo soliti scavare di nascosto una buca profonda almeno 50 cm. per metterci le patate che arrivavano da fuori. Le coprivo col pagliericcio per non farle gelare.
Quando scoprirono che nascondevo 42 patate nelle mutande me ne chiesero il motivo. Dissi che non potevo mangiare il pane per malattia. Cominciarono a darmele, una nerbata per ogni patata. Ad un certo punto svenni per il dolore, mi rianimarono con una secchiata gelata d'acqua e continuarono a darmele. A volte uccidevano per molto meno, fui molto fortunato.
Non c'era limite all'orrore. Le persone anziane facevano fatica a stare dietro al lavoro, si indebolivano e non venivano curate, morivano come mosche. La vita stessa non aveva valore. Dopo gli ebrei, gli italiani erano considerati i peggiori. All'inizio ci si scontrava anche tra di noi prigionieri, si litigava coi francesi e i russi. Fui colpito da dissenteria assieme a un mio amico, Carmine Berera. Fummo portati in infermeria: io fui giudicato guaribile, ma il mio amico no. Fui curato subito e dopo tre giorni, grazie alla complicità di un giovane medico italiano, vidi per un attimo il mio amico in un'altra baracca. La stanza era squallida con un indescrivibile odore di sporcizia. Era proibito entrare. Erano tutti malati abbandonati a se stessi: portavano loro da mangiare, ma nessuno in realtà se ne curava, erano considerati a perdere. Ogni giorno arrivavano gli addetti, buttavano i cadaveri fuori dalla finestra, su carretti diretti al crematorio. Il mio amico dopo una settimana era ancora vivo, poi non ne seppi più nulla.
Le persone sparivano, uccise con punture di veleno o benzina. Certe notti c'era un'auto azzurra che faceva la spola tra i due campi di Gusen e Mauthausen e asfissiava le persone, per scaricarle infine al crematorio. Tanti morivano mentre lavoravano nella cava. Mi sono anche ammalato di scabbia e in totale sono stato ricoverato tre volte. Penso di essermi salvato per fortuna, per la mia giovane età e per il fatto di aver passato i mesi più rigidi a sistemare patate, dove comunque la temperatura era di dieci gradi sopra lo zero.
Volevamo sapere come andava la guerra e qualche notizia riusciva a trapelare. Quando si capì che a breve sarebbero arrivati gli americani, tememmo che i nazisti ci uccidessero tutti. Si diffuse il caos, cominciarono a bruciare documenti per nascondere le prove di quello che avevano compiuto. I tedeschi uccisero chi tentò di ribellarsi, fucilando alcune delle SS e i kapò che stavano ai forni crematori, per impedire che potessero rivelare qualcosa. C'erano morti ovunque.
Il 5 maggio 1945, verso sera, arrivarono gli americani e i tedeschi rimasti si arresero e si consegnarono. Alcuni di noi linciarono i propri aguzzini. Eravamo allo sbando, alla ricerca di cibo per le cucine del campo, mangiando quel che si trovava. Eravamo liberi, ma ancora non ce ne rendevamo conto e vagavamo per il campo come dei disperati. Alcuni miei amici andarono a piedi verso la città di Linz, cercando di tornare prima in Italia. Gli americani cominciarono a curarci nel campo, con l'aiuto della Croce Rossa.
Tornai in Italia solo il 27 giugno. Ero stato curato da una strana febbre che uccideva e sono sopravvissuto grazie alla penicillina degli americani. Mio fratello, che mi aveva visto ricoverare in condizioni disperate, tornò prima in Italia dai miei per non farli preoccupare. Quando arrivai fu una gioia, ma non potei tornare subito a una vita normale, feci delle cure speciali, non potevo mangiare che in bianco, mi fecero trasfusioni e punture ricostituenti. Ritornai al lavoro alla Falck solo nel dicembre 1945.
Ora, ogni giorno ripenso alle persone nel campo, a chi c'era e a chi non si sa che fine abbia fatto.
Dopo tante sofferenze non odio il popolo tedesco. Se un popolo partorisce dei mostri criminali, bisogna combatterli e impedire che si impadroniscano del potere.”

PER NON DIMENTICARE 





lunedì 24 gennaio 2011

RSA (Residenza Socio Assistenziale) di Arcore nel parco dei Colli Briantei? I primi pronunciamenti della Provincia di MB


INSIEME IN RETE PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE aveva inviato una lettera appello al Presidente della Provincia di MB, Dario Allevi e all'Assessore alla Pianificazione Territoriale e Parchi Antonino Brambilla per chiedere si  fermasse il progetto di una RSA (Residenza Socio Assistenziale) per anziani prevista IN UN'AREA BOSCATA del PARCO dei COLLI BRIANTEI in Comune di Arcore.
Si proponeva inoltre la localizzazione della stessa nell'ex area Falck, al fine di salvare il bosco e di realizzare ugualmente la struttura.
Ora dal Cittadino apprendiamo che la Prov di MB ha espresso, seppur timidamente, una sua prima opinione in merito. 
Continueremo pertanto a far pressioni e a proporre una dislocazione differente per la RSA.
Eccovi integralmente qui di seguito l’articolo de Il Cittadino di Sabato 22 Gennaio, pagina  13, sulla questione della Residenza per Anziani nel Parco di Colli Briantei.

Residenza anziani nei Colli briantei ? La Provincia dice no.
Non piace alla Provincia la residenza per anziani nel bosco. L'ente brianzolo non ha espresso alcun parere sul progetto, che non ha ancora visto, ma non darà via libera alla modifica del perimetro del Parco dei Colli briantei. Lo scrive il vicepresidente Antonino Brambilla nella risposta all'interpellanza presentata la scorsa settimana dal capogruppo del PD Domenico Guerriero.

L'ASSESSORE MONZESE "Non abbiamo ricevuto l'incartamento - afferma l'amministrazione provinciale - ma ci comporteremo come abbiamo fatto in altri casi". Vale a dire pronunciando un secco no. Nel documento Brambilla chiarisce che l'ente non ha partecipato alla conferenza dei servizi del 14 dicembre dedicata alla valutazione del'intervento in quanto per "una disfunzione del sistema informatico" non ha ricevuto la convocazione inviata per posta elettronica. La variante al piano regolatore approvata dal comune il 21 dicembre non richiede la verifica di compatibilità al PTCP (il documento urbanistico provinciale) ma "rimarrà  inefficace" finché la giunta brianzola non ridisegnerà i confini del Parco. E proprio questo atto potrebbe non arrivare.

LE PROSPETTIVE
"Esamineremo l'intervento sulla base della coerenza con gli obiettivi di salvaguardia delle aree non urbanizzate e di quelle inserite nei PLIS - aggiunge il vicepresidente - e dato, che, oltretutto c'è una delibera regionale che impedisce iniziative del genere nei parchi, non intendiamo dare parere favorevole alla modifica del perimetro dei Colli briantei"
Le sue parole sono accolte con sollievo dal Pd: "Prendiamo atto con soddisfazione del documento dell'assessore - commenta Guerriero - noi continueremo a segnalare situazioni simili. Ci sembra , però che il centrodestra non sia coerente: Nei comuni prende decisioni che poi la Provincia corregge".

sabato 22 gennaio 2011

Autostrada Pedemontana: nuove interrogazioni alla Prov. di Monza e Brianza e di Milano


Dopo la MEMORIA PROCEDURALE dei gruppi di INSIEME IN RETE PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE, dopo la consegna da parte di CAL alle Provincie e alle Amministrazioni Comunali del PROGETTO DEFINITIVO AGGIORNATO, ufficialmente ancora non accessibile ai cittadini, ma di cui conosciamo già i contenuti, le interlocuzioni e i contatti diretti e indiretti di INSIEME IN RETE PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE, hanno portato i Consiglieri del PD della Provincia di Monza e Brianza e il Consigliere della Provincia di Milano Massimo Gatti della Lista "UN'ALTRA PROVINCIA - PRC- PdCI" , a presentare in entrambi gli ambiti istituzionali due interrogazioni sulla "autostrada Pedemontana" che alleghiamo invitandovi alla lettura.

INSIEME IN RETE, insoddisfatta del fatto che le prescrizioni del CIPE sono state abilmente dribblate se non ignorate da CAL e Pedemontana nella stesura del progetto definitivo aggiornato, (vedi post precedente) continua a denunciare in tutte le sedi la totale mancanza di TRASPARENZA e l'ITER ANOMALO con cui si vuole di fatto ESTROMETTERE cittadini e associazioni privandole del legittimo ruolo di partecipazione e controllo sull'opera PUBBLICA.



L'interrogazione alla Prov. di Milano di Massimo Gatti (PRC-PdCI)



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L'interrogazione del Gruppo PD alla Prov. di MB




martedì 11 gennaio 2011

Nuovo progetto di PEDEMONTANA: che fine hanno fatto le PRESCRIZIONI del CIPE ?

In data 20 dicembre 2010, la Provincia di MB ha invitato tutti i Comuni compresi nella tratta B1 e B2 della PEDEMONTANA a ritirare 2 CD contenenti uno step progettuale nuovo dell'autostrada.

INSIEME IN RETE PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE è venuta in possesso di questi CD.
Li abbiamo analizzati e abbiamo scoperto che le PRESCRIZIONI del CIPE relative allo SVINCOLO di MEDA e al Bosco delle Querce, NON SONO STATE MINIMAMENTE INTEGRATE in questo step progettuale.

Ciò è molto grave, visto che la prescizione di SPOSTARE lo SVINCOLO di MEDA FUORI dall'area del Bosco delle Querce E' STATA TOTALMENTE IGNORATA, lo stesso dicasi rispetto agli ulteriori accertamenti prescritti dal CIPE relativamente alle concentrazioni di DIOSSINA nel terreno del Bosco delle Querce ed in sua prossimità.

Per questo, stiamo analizzando attentamente le tavole progettuali e l'iter previsto, interfacciandoci con l'avvocato che ci ha seguiti nella MEMORIA PROCEDURALE per valutare i passi da compiere.

Vi proponiamo prima la planimetria del vecchio progetto relativo allo SVINCOLO di MEDA , invasivo e causa di SBANCAMENTO del Bosco delle Querce e annessa prescrizione CIPE.

Il progetto di Pedemontana in corrispondenza del “Bosco delle Querce” prima della deliberazione delle prescrizioni CIPE che potete leggere qui sotto:


Ora aguzzate la vista e cercate i particolari che lo differenziano dal sottostante progetto definitivo “aggiornato” dopo la pubblicazione delle prescrizioni.


Quali sono le differenze?

Un UNICA differenza planimetrica + una omissione nella documentazione aggiuntiva che era richiesta dal CIPE

1)La rotatoria in basso a sinistra vienne trasformata in uno svincolo a "T" mantenendo tutti “i rami di adduzione” nel Bosco delle Querce a ridosso delle vasche.

2) Non viene detto nulla sulle concentrazioni di DIOSSINA nel terreno che sarà movimentato.


Ora abbiamo la certezza che le prescrizioni CIPE sono state disattese !!