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CRONACHE DA CHI SI IMPEGNA A CAMBIARE IL PAESE DEI CACHI E DEI PIDUISTI.
"Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente,
ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere,
se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?"
Antonio Gramsci-politico e filosofo (1891-1937)
OMAGGIO ALLA RESISTENZA.
Ciao Dario, Maestro, indimenticabile uomo, innovativo, mai banale e sempre in prima fila sulle questioni sociali e politiche.
Ora sei di nuovo con Franca e per sempre nei nostri cuori.

"In tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta.
Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po' le teste.
Tutto il resto, la bellezza per la bellezza, non mi interessa."

(da Il mondo secondo Fo)

domenica 17 ottobre 2010

Con la FIOM, con i Metalmeccanici PER IL LAVORO, PER I DIRITTI


UNA GRANDE MANIFESTAZIONE.
«LA DIGNITA'  NON SI QUOTA IN BORSA»

La manifestazione indetta dalla FIOM (sindacato dei metalmeccanici) del 16/10/010 è stata un grande momento d'incontro e di rivendicazioni dei lavoratori metalmeccanici, cui si sono sommate le adesioni di realtà sociali e di altri settori del mondo del lavoro.
Una dimostrazione pacifica e piena di contenuti che rimanda al mittente le scellerate dichiarazioni "allarmistiche" fatte dai "ministri" (boh !) Maroni e Sacconi.
E' la protesta viva e attiva di chi non ci sta. 
Di chi non ci sta all'attacco continuo e indiscriminato ai DIRITTI DEI LAVORATORI fatto da Marchionne, Confindustria, governo iperliberista e piduista e dai "sindacati conniventi e complici CISL e UIL". 
E' stato il giorno di chi chiede a gran voce e a ragione che IL LAVORO e I DIRITTI siano rimessi AL CENTRO DELLA DISCUSSIONE e non SVENDUTI per IL NULLA.
Vi proponiamo l'articolo de "Il Manifesto" che ben illustra contenuti e obbiettivi della manifestazione.
DIVERTENTI e ASSURDE le dichiarazioni dei "ministri della cricca dei miracoli" (sotto).

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La piazza grida, "Sciopero generale"

Una giornata liberatoria. Ha distrutto pacificamente seminatori di paura, ministri con la poltrona in liquidazione e media senza dignità che han fatto loro il coro.
La prima megamanifestazione di Maurizio Landini (Segretario FIOM) è coincisa con l'ultima di Guglielmo Epifani (Segretario uscente CGIL).
Ma non è stato un passaggio di consegne. 
Nella Cgil attuale si usano magari le stesse parole, ma i significati sembrano molto differenti. 
E i metalmeccanici sono per storia, numero, ruolo e modo di ragionare «costretti alla concretezza». 
Si è visto subito che questa era la piazza di chi si è già accorto che non si può più arretrare, e Andrea Rivera, con il suo monologo in musica, ha saputo cogliere molte sfumature di questo sentimento.
Non si può più fare un passo indietro perché non c'è più terreno alle spalle; margini salariali e diritti esigibili sono ormai ridotti ai minimi termini (neanche le sentenze dei giudici, come a Melfi, riescono a ottenere immediata esecuzione). 
La cassa integrazione, in tutte le sue varianti, ha toccato cifre record; ma soprattutto comincia a scadere per fette molto consistenti di lavoratori. Non c'è più molto tempo, insomma, per «attendere» che accada qualche miracolo (la caduta di Berlusconi, la ripresa, ecc). A questa doppia esigenza - decisione e tempestività - Maurizio Landini ha dato risposte chiare e nette, sottolineate più volte da applausi o autentiche ovazioni.
La crisi è il discrimine su cui decide tutto.
«Per 20 anni ci hanno detto che bastava lasciar fare al mercato, ora abbiamo una finanza senza regole, il record di evasione fiscale, una precarietà senza precedenti e una ridistribuzione della ricchezza a danno di chi lavora».
Una «società così è inaccettabile, bisogna ribellarsi per cambiarla». 
Davanti a un governo e un'imprenditoria che vorrebbero «uscire dalla crisi» cancellando un secolo di conquiste e diritti, cambiando solo gli assetti di potere, c'è invece una proposta che suggerisce di uscirne con un cambiamento radicale: «un altro modello di sviluppo, dove si decide cosa e come produrre, i beni comuni da difendere, cancellare la precarietà, aumentare i salari».
Una visione generale, non limitata ai metalmeccanici. 
Ma qui è stata giocata la partita per ridurre le relazioni industriali tra impresa e lavoro a una mera formalità.
Qui il conflitto vede «mettere in gioco la stessa democrazia», che «non si può fermare davanti ai cancelli della fabbrica». 
Qui è scattata - con l'imprevisto 36% di «no» contro il «modello Pomigliano» e l'orgoglio dei «tre di Melfi» - la reazione della dignità contro chi voleva costringere a scegliere tra lavoro o diritti.
Qui il voto dei lavoratori su ogni piattaforma o accordo è diventata una rivendicazione da affrontare con una legge. 
Dai metalmeccanici è partita l'unica risposta di massa che ha assunto un peso anche politico.
È forte l'attacco alla Fiom e alla Cgil, basta leggere gli allarmi di Maroni o i desideri di morte di Sacconi. «Ma non vogliono soltanto far fuori noi; vogliono cancellare il diritto delle persone a contrattare, a esser liberi». 

Di fronte a chi ti dice, come Marchionne, «se vuoi sapere qual è il piano industriale, devi prima firmare un accordo che generalizza il modello Pomigliano e magari lo peggiora anche», non basta più una vertenza di categoria, per quanto seria e dura. «Bisogna riunificare i diritti, fare contratti nazionali che mettono insieme più categorie».  
C'è insomma da vincere una battaglia generale, sindacale e politica, e quindi la Cgil dovrebbe proclamare un «sciopero generale».
Non è semplice per Epifani iniziare a parlare. La piazza invoca «sciopero, sciopero». La segreteria della Fiom al completo gli si mette al fianco, intorno al microfono. È regola antica, in Cgil: il segretario generale si rispetta. 
La folla che è rimasta capisce e fa silenzio, tranne una cinquantina di persone che sventolano un paio di bandiere di un ignoto «Red bloc» e fischiano per un po'. 
Epifani attacca il governo, la sua «politica industriale» inesistente, ma non affonda più di tanto su Confindustria; difende il ruolo del contratto nazionale, ma come se - proprio su questo - non si fosse consumata una rottura da cui le imprese non sembrano intenzionate a tornare indietro. 

Delinea un iter di mobilitazioni che vede al centro la manifestazione confederale del 27 novembre e solo dopo - come se questa giornata non avesse già un significato e una portata generali, e «se non avremo risposte» - si andrà avanti «anche con lo sciopero generale». 
Tempi lunghi, mosse caute, rinvii a quando avrà lasciato il timone della Cgil nelle mani di Susanna Camusso.
E magari lo scenario politico sarà più dialogante dell'attuale. 
Due visioni diverse, con molte parole in comune. Ma la giornata di ieri, questo è chiaro, segna un giro di boa nella consapevolezza di sé di un'opposizione sociale che sembra ora aver ritrovato un baricentro solido. «Andiamo avanti, rispettiamo le vostre posizioni, manifestate», dice la leader di Confindustria Emma Marcegaglia alla Fiom. Ma avverte: bisogna «guardare avanti». Perchè se si guarda a «un modello di relazioni sindacali che non ci sono più si ha un solo risultato, uccidere i lavoratori. Se si inneggia a qualcosa che non esiste più questo condanna il Paese». Secondo il segretario dei meccanici Uil, la manifestazione della Fiom «parte da motivazioni che non riguardano il merito, ma sono politiche e si alimentano del contrasto con le altre sigle metalmeccaniche».

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