Un RICATTO, un ricatto continuo. Questo è quello che accade quasi sempre nel corso
delle vertenze che vedono impegnati i lavoratori nella difesa disperata
del loro posto di lavoro.
Anche la vertenza dei call-center di
ALMAVIVA si è evoluta secondo uno squallido copione con al centro la
minaccia di delocalizzazione in Romania dei servizi e con la direzione
aziendale che chiede IL TAGLIO DEGLI STIPENDI.
Stiamo parlando di salari
già bassi, 500 o 600 euro al mese per contratti di circa 20 ore
settimanali.
Eppure questo livello di miseria salariale unito alla totale flessibilità degli orari ancora non basta all'azienda.
Pesantissime
le responsabilità del GOVERNO che impone un lodo che congela momentaneamente i 2556 licenziamenti richiesti, ricorrendo alla cassa integrazione sino al 31-3-2017, ma chiede entro quella data un accordo che taglia il salario, aumenta la flessibilità e la produttività a scapito dei diritti.
Lavoratori
sotto RICATTO, costretti a scegliere tra condizioni ancora più precarie ad un salario ancora più basso e il loro licenziamento.
Azienda
e Governo che costruiscono i presupposti per la divisione dei
lavoratori e con le Rappresentanze Sindacali Unitarie di Roma - la sede più grande - che respingono
l'accordo capestro.
Ora si andrà al Referendum tra tutti i dipendenti del gruppo.
Ecco, non c'è mai limite alla miseria d'un lavoro sottopagato e con tutele e diritti costantemente messe in discussione o cancellate.
Sotto due articoli de il Manifesto che fanno comprendere la drammaticità e la precarietà delle condizioni di chi lavora oggi.
Ricatto Almaviva, il difficile no dei romani
Tre mesi di cassa integrazione per negoziare meno salario e diritti, altrimenti il colosso dei call center sposta tutto in Romania. Il governo complice dell'azienza, le Rsu di Napoli firmano, quelle di Roma no. E devono subire così 1.666 licenziamenti
Antonio Sciotto Edizione del 23.12.2016
Antonio Sciotto Edizione del 23.12.2016
Possiamo solo immaginare cosa possa voler dire per un delegato
firmare per il proprio licenziamento e quello dei suoi 1665 colleghi:
dopo le battaglie comuni, una lunga trattativa, il buio e lo sconforto. È
accaduto la scorsa notte al ministero dello Sviluppo, quando i giornali
di ieri erano già nelle rotative e riportavano tutti la stessa notizia:
Almaviva, c’è l’accordo, le 2.511 procedure di mobilità sono congelate
per tre mesi e si continua a trattare.
E invece dopo l’ok dei sindacati e
dell’azienda alla proposta Calenda-Bellanova (erano stati chiamati ad
avallarla anche Camusso, Furlan e Barbagallo), da mezzanotte in poi si
sono scatenate discussioni accesissime. Le Rsu, che hanno l’ultima
parola perché riportano il mandato dei lavoratori, non erano d’accordo.
Non erano d’accordo soprattutto i delegati e le delegate romane,
abituati a convivere con l’azienda dei Tripi già dai tempi di Atesia,
brand mandato in soffitta perché collegato alla precarietà. In quindici,
alle tre di notte compattamente hanno votato no. Mentre al contrario
gli otto di Napoli hanno detto sì. L’accordo ha ricordato a molti il
referendum di Pomigliano, proposto da Sergio Marchionne agli operai Fiat
nel 2010 con un sostanziale aut aut: o accettate il peggioramento delle
condizioni di lavoro, o il vostro posto semplicemente sparisce. Anzi,
sarebbe meglio dire: emigra.
Oggi per i call center si ripropone la stessa dinamica, e non a caso
accade nella Fiat delle cuffiette italiane, Almaviva: il maggiore gruppo
del Paese, con quasi 10mila operatori telefonici e commesse assegnate
dalle maggiori compagnie private e da grosse amministrazioni pubbliche.
L’accordo siglato da azienda e sindacati prevede sì il congelamento dei
licenziamenti fino al 31 marzo 2017, ma solo a patto che si riesca a
raggiungere un’intesa su tre punti: l’abbassamento (temporaneo) del
costo del lavoro, l’aumento di efficienza e produttività, l’accettazione
di un controllo a distanza sulla produttività individuale.
Si dovrebbe
siglare, in sostanza, una deroga al contratto nazionale, autorizzata
proprio da quell’articolo 8 voluto dal ministro Sacconi nel 2011, e
sponsorizzato da Confindustria e soprattutto Fiat.
Lo stesso aut aut è stato posto sostanzialmente da Almaviva:
accettate di lavorare di più le stesse ore ma con meno salario, o
altrimenti noi abbiamo già aperto in Romania e le commesse le portiamo
là.
Parole mai dette esplicitamente, ma parlano i fatti.
Parole mai dette esplicitamente, ma parlano i fatti.
L’azienda
chiede un taglio alle retribuzioni solo temporaneo, legato al periodo
del risanamento, denunciando perdite ormai assestate sui 2 milioni di
euro al mese. Perché è anche vero che il settore non premia chi applica i
contratti e segue le regole, visto che le commesse scendono ogni anno
di valore, trainate soprattutto (e con grande colpa degli ultimi
governi) dai tagli choc delle amministrazioni pubbliche, che in molti
casi bandiscono gare con base d’asta già sotto i livelli del contratto
nazionale.
Le Rsu romane hanno spiegato di aver detto no all’accordo perché
avevano ricevuto preciso mandato dalle assemblee dei lavoratori: nessun
taglio ai salari.
Certo, tutte assemblee precedenti: perché la proposta
Calenda-Bellanova, arrivata a poche ore dalla scadenza della procedura
di mobilità, non si è mai potuta portare a tutti i lavoratori. Riccardo
Saccone, della Slc Cgil, accusa il governo: «Non ha svolto il suo ruolo
di arbitro. Abbiamo chiesto che si potesse portare il contenuto di
questo accordo alle assemblee, ma all’indisponibilità dell’azienda si è
deciso comunque di andare avanti».
Saccone spiega così il voto: «A Roma
abbiamo tantissime persone a venti ore settimanali, fanno meno di 500
euro al mese: ridurre ulteriormente i salari fa perdere il bonus Renzi,
ti porta sotto la soglia degli incapienti. E che trattativa vai a fare
se comunque sai che nell’accordo c’è scritto che se non arrivi a certe
condizioni i licenziamenti sono già concordati a priori?».
Diversamente l’hanno vista a Napoli: come ci spiega il delegato Slc
Cgil Francesco De Rienzo, «noi, a differenza dei romani, non avevamo un
preciso mandato dalle assemblee e non ce la siamo sentita di firmare per
il licenziamento di 845 colleghi». «Ho visto la loro sofferenza –
riprende – ma la reputo una scelta incomprensibile: noi sappiamo di
avere davanti tre mesi difficili, ma abbiamo deciso di giocarcela».
Tra
l’altro essendo i delegati romani in quindici, e i napoletani solo in
otto, si rischiava che la scelta dei primi potesse decidere anche per la
chiusura del sito campano: quindi il ministero all’ultimo ha deciso di
separare le due procedure.
La Fistel Cisl ha bollato la scelta dei delegati romani, definendola
«irresponsabile». La Slc Cgil, spiegando che oggi si terranno le
assemblee e martedì i referendum, afferma che se dovesse esserci un
ripensamento a Roma, sosterrà la possibilità di un nuovo accordo con
l’azienda.
Almaviva, il delegato Cgil: «Basta con le accuse, il governo ci ha lasciati da soli»
Call center. Massimiliano Montesi, una delle Rsu che ha detto no all'accordo, racconta come è andata al ministero. "Prima di dire sì a dei licenziamenti avremmo voluto chiedere un nuovo mandato alle assemblee, ma non ci è stato permesso. Ho sentito che non ci ha coperto neanche il sindacato"
Antonio Sciotto Edizione del 24.12.2016
«Non solo il governo ci ha praticamente accusati di essere i
responsabili del licenziamento di 1666 persone, ma sinceramente come Rsu
non mi sono sentito coperto neanche dalla mia organizzazione. A questo
punto fare un referendum è il minimo, anche se credo che ci si sarebbe
dovuti impuntare per far sospendere la trattativa e andare al voto
prima». Massimiliano Montesi è delegato della Slc Cgil, è uno dei
tredici che alle tre di notte di giovedì scorso ha detto no all’accordo
con Almaviva.
Cominciamo dal racconto di quella notte. L’accordo da chi è stato elaborato?
Quando tutto era in stallo, è stato il governo a venire dalle parti con un accordo praticamente già scritto. Un testo che recepiva tutti i temi proposti dall’azienda, in particolare il taglio del costo del lavoro e il controllo della prestazione individuale. In più: 3 mesi di cassa integrazione a scalare – dal 100% a zero ore al 70% e poi al 50% – prevedendo che se entro il 31 marzo 2017 non si fosse arrivati a un’intesa, l’azienda avrebbe potuto procedere ai 2.511 licenziamenti già previsti nella procedura.
È l’accordo a cui poi avete detto no. Come mai?
Intanto va detto che un sindacato che firma una intesa su una futura trattativa, ma in cui sono già previsti dei licenziamenti, li sta praticamente avallando. E questo potrebbe creare tra l’altro problemi a chi in futuro volesse impugnarli. Abbiamo detto no perché avevamo ricevuto un preciso mandato dalle assemblee a non trattare su taglio dei salari e controllo della produttività individuale: erano ritenuti temi indisponibili.
Ma erano venuti tutti i lavoratori alle assemblee? Alcuni contestano che le assemblee non rappresentano tutti.
Noi abbiamo fatto assemblee al call center fino a una settimana prima delle trattative, abbiamo coperto tutti i turni: poi è chiaro che quando hai la solidarietà al 45%, e se conti anche le ferie o le malattie, non puoi avere proprio tutti. Però chi era a quelle assemblee era d’accordo con noi, e la linea che abbiamo portato era quella delle segreterie nazionali. Abbiamo chiesto un preciso mandato, avvertendo chiaramente sui rischi: attenzione, abbiamo detto, perché se non si arriva a un accordo poi potrete ricevere le lettere di licenziamento a casa. A quel punto non venite a cercare noi, perché ci state dando un mandato preciso.
E invece sono venuti a cercarvi, molti accusano voi Rsu di essere i responsabili di quel che è accaduto al ministero dello Sviluppo.
Ad accusarci sono stati alcuni tweet del governo, i tg nazionali. Non i lavoratori che ci hanno dato quel mandato, sarebbe assurdo d’altronde. È vero però che adesso tanti stanno cambiando idea sull’opportunità o meno di accettare un accordo con l’azienda, e questo è sempre legittimo: non a caso noi faremo un referendum. Certo che quel referendum sarebbe stato meglio farlo prima, quando avevi la proposta di accordo in mano.
Ma infatti il sindacato ha chiesto di sospendere il tavolo e andare alle assemblee.
Certo, è stato chiesto. Ma quando azienda e governo hanno detto no, ci si sarebbe dovuti impuntare di più. Tanto più se non hai ottenuto nulla di quanto era nella tua piattaforma: dovevamo chiedere un nuovo mandato, invece di provocare lacerazioni e accordi separati tra le due sedi di Roma e Napoli. Ma invece di tenere il punto, si è reputato di far firmare quell’accordo con la chiamata nominale delle Rsu. Puoi immaginare come ti senti se ti chiamano per nome e cognome a dire sì o no al licenziamento dei tuoi colleghi. Però noi avevamo ricevuto un preciso mandato, con tanto di riprese pubblicate sui social. Se l’avessimo tradito ci avrebbero praticamente menato.
Mandato a parte, personalmente cosa pensi dell’accordo? E cosa credi che prevarrà al referendum di martedì prossimo?
A me quell’accordo non piace perché sancisce dei licenziamenti, e poi siamo veramente stanchi di subire: da sei anni siamo sotto ammortizzatori sociali, e adesso ci propongono condizioni peggiorative – che Almaviva vuole estendere a tutti i suoi siti italiani – mentre si aprono nuove sedi in Romania e si assumono interinali a Milano e Catania. Non so cosa passerà al referendum, e chiaramente non mi impunterò sulle mie idee personali se nel frattempo la maggioranza delle persone ha cambiato idea. Il timore è comunque che si voglia solo allungare la nostra agonia, e che quei licenziamenti non troppo lontano nel tempo arriveranno lo stesso, mentre grazie alle nostre lotte l’azienda ha ottenuto la nuova normativa contro le delocalizzazioni e 30 milioni di ammortizzatori. E per giunta ci chiede pure tagli ai salari e controlli a distanza.
Cominciamo dal racconto di quella notte. L’accordo da chi è stato elaborato?
Quando tutto era in stallo, è stato il governo a venire dalle parti con un accordo praticamente già scritto. Un testo che recepiva tutti i temi proposti dall’azienda, in particolare il taglio del costo del lavoro e il controllo della prestazione individuale. In più: 3 mesi di cassa integrazione a scalare – dal 100% a zero ore al 70% e poi al 50% – prevedendo che se entro il 31 marzo 2017 non si fosse arrivati a un’intesa, l’azienda avrebbe potuto procedere ai 2.511 licenziamenti già previsti nella procedura.
È l’accordo a cui poi avete detto no. Come mai?
Intanto va detto che un sindacato che firma una intesa su una futura trattativa, ma in cui sono già previsti dei licenziamenti, li sta praticamente avallando. E questo potrebbe creare tra l’altro problemi a chi in futuro volesse impugnarli. Abbiamo detto no perché avevamo ricevuto un preciso mandato dalle assemblee a non trattare su taglio dei salari e controllo della produttività individuale: erano ritenuti temi indisponibili.
Ma erano venuti tutti i lavoratori alle assemblee? Alcuni contestano che le assemblee non rappresentano tutti.
Noi abbiamo fatto assemblee al call center fino a una settimana prima delle trattative, abbiamo coperto tutti i turni: poi è chiaro che quando hai la solidarietà al 45%, e se conti anche le ferie o le malattie, non puoi avere proprio tutti. Però chi era a quelle assemblee era d’accordo con noi, e la linea che abbiamo portato era quella delle segreterie nazionali. Abbiamo chiesto un preciso mandato, avvertendo chiaramente sui rischi: attenzione, abbiamo detto, perché se non si arriva a un accordo poi potrete ricevere le lettere di licenziamento a casa. A quel punto non venite a cercare noi, perché ci state dando un mandato preciso.
E invece sono venuti a cercarvi, molti accusano voi Rsu di essere i responsabili di quel che è accaduto al ministero dello Sviluppo.
Ad accusarci sono stati alcuni tweet del governo, i tg nazionali. Non i lavoratori che ci hanno dato quel mandato, sarebbe assurdo d’altronde. È vero però che adesso tanti stanno cambiando idea sull’opportunità o meno di accettare un accordo con l’azienda, e questo è sempre legittimo: non a caso noi faremo un referendum. Certo che quel referendum sarebbe stato meglio farlo prima, quando avevi la proposta di accordo in mano.
Ma infatti il sindacato ha chiesto di sospendere il tavolo e andare alle assemblee.
Certo, è stato chiesto. Ma quando azienda e governo hanno detto no, ci si sarebbe dovuti impuntare di più. Tanto più se non hai ottenuto nulla di quanto era nella tua piattaforma: dovevamo chiedere un nuovo mandato, invece di provocare lacerazioni e accordi separati tra le due sedi di Roma e Napoli. Ma invece di tenere il punto, si è reputato di far firmare quell’accordo con la chiamata nominale delle Rsu. Puoi immaginare come ti senti se ti chiamano per nome e cognome a dire sì o no al licenziamento dei tuoi colleghi. Però noi avevamo ricevuto un preciso mandato, con tanto di riprese pubblicate sui social. Se l’avessimo tradito ci avrebbero praticamente menato.
Mandato a parte, personalmente cosa pensi dell’accordo? E cosa credi che prevarrà al referendum di martedì prossimo?
A me quell’accordo non piace perché sancisce dei licenziamenti, e poi siamo veramente stanchi di subire: da sei anni siamo sotto ammortizzatori sociali, e adesso ci propongono condizioni peggiorative – che Almaviva vuole estendere a tutti i suoi siti italiani – mentre si aprono nuove sedi in Romania e si assumono interinali a Milano e Catania. Non so cosa passerà al referendum, e chiaramente non mi impunterò sulle mie idee personali se nel frattempo la maggioranza delle persone ha cambiato idea. Il timore è comunque che si voglia solo allungare la nostra agonia, e che quei licenziamenti non troppo lontano nel tempo arriveranno lo stesso, mentre grazie alle nostre lotte l’azienda ha ottenuto la nuova normativa contro le delocalizzazioni e 30 milioni di ammortizzatori. E per giunta ci chiede pure tagli ai salari e controlli a distanza.